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Sono nato a Maratea (PZ), 33 anni fa.. sacerdote della Diocesi di Tursi-Lagonegro

IV domenica di quaresima/A: Di fronte alla Luce

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 9,1-41)

[ In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita ] e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, [ sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». ] Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». ] Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [ Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. ] Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Commento

La quarta domenica di quaresima, detta anche “Laetare”, è caratterizzata da un clima spirituale più gioioso, perché nel cammino dei quaranta giorni, si inizia ad intravedere la meta pasquale più prossima. Dalla stupenda pagina evangelica proposta alla nostra contemplazione, tratta dal capitolo 9 del Vangelo di San Giovanni, risplende trionfante il volto di Gesù, che presenta se stesso come “luce del mondo”. Il Verbo incarnato, vero Dio e vero uomo, reca nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Attraverso il segno della guarigione di quest’uomo cieco dalla nascita, il Maestro si rivela come segno di contraddizione, illuminando coloro che lo riconoscono e confondendo coloro che lo rifiutano. In giorno di sabato, Gesù rivela le meravigliose opere di Dio in un uomo mendicante, ben noto per essere non vedente dalla nascita. Incontrandolo, Gesù con la sua mano ri-creatrice, impastata della saliva della sua Parola e della terra della creazione, lo guarisce dalla sua cecità e lo invia alla piscina dell’Inviato (Siloe), perché vi si immerga. Si tratta, evidentemente, di un chiaro richiamo battesimale: attraverso l’opera ricreatrice della grazia, l’uomo viene immerso nella morte e nella risurrezione di Cristo, l’Inviato del Padre, e riceve l’illuminazione della fede. In questo segno l’uomo guarito vede il profeta, colui che parla di Dio e parla in nome di Dio, per arrivare gradualmente al riconoscimento del suo essere Figlio di Dio, credendo in Lui e adorandolo. Accanto a Gesù e al cieco, l’evangelista Giovanni mette in scena, in questo dramma, anche altri protagonisti, con un ruolo, che si potrebbe definire “collaterale”. Si tratta anzitutto dei suoi discepoli, che sfidati dalla realtà dell’uomo cieco, più che riconoscerne la sofferenza, propongono di disquisire sulle cause: chi ne è colpevole? Lui stesso o i suoi genitori? Anche noi, a volte, ragioniamo così: invece di soffermarci sulle sfide che la realtà e le persone ci offrono, perdiamo tempo ad interrogarci sulle cause, sui perché, finendo per trascurare i fatti e perdendo occasioni preziose di crescita e di servizio. Gesù, invece, ci aiuta ad avere uno sguardo diverso: più che soffermarsi sulla tentazione di incolpare necessariamente qualcuno, il Maestro propone di accettare la sfida e di riconoscervi la chiamata ad un oltre, quello di rendere gloria a Dio. Magari imparassimo a leggere anche noi così le nostre difficoltà e sfide quotidiane! Accanto ai discepoli, Giovanni mette in scena le figure sinistre dei Giudei, che cercano pretesti contro Gesù e sono i veri ciechi, perché presumono di vedere tutto e bene, ma in realtà giungono al paradosso di rifiutare la luce di Dio, credendo in questo modo di onorare Dio stesso. Che il Signore ci liberi da questa rigida ottusità. Infine, si può vedere l’atteggiamento neutralmente pauroso dei genitori del cieco: essi, terrorizzati dalle ritorsioni dei Giudei, preferiscono l’ignavia di chi non prende posizione e vuole sempre cadere all’impiedi, per difendere la propria posizione. Anche noi, di fronte all’opera di Dio potremmo incorrere nello stesso atteggiamento, quando cedendo alle pressioni della cultura maggioritaria, piuttosto che essere testimoni coraggiosi in questo mondo, scegliamo di non uscire dalla nostra confort zone del politicamente e socialmente corretto, optando per una tiepida viltà. Quando scegliamo questa posizione “senza infamia e senza lodo” (Dante, Inferno, III, 36), dovremmo ricordare di quanto il veggente scrive all’angelo della Chiesa di Laodicea nel libro dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,15-16).

III domenica di quaresima/A: La brocca abbandonata

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 4,5-42)

[In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua»] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».] In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». [Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».]

Commento

La pagina evangelica di questa domenica ci invita a contemplare l’incontro di Gesù con la samaritana, che è figura anche del nostro incontro personale con il Signore, alla base della nostra fede. Gesù entra in dialogo con questa donna samaritana chiedendole dell’acqua, l’elemento più prezioso per la vita. Partendo dal livello di un bisogno materiale, il Maestro vuole che la donna cammini con Lui in un approfondimento della fede che la trasformi nell’intimo, portando fuori il vero bisogno che c’è in lei, la vera sete di vita, che solo Lui può estinguere. Gesù entra in dialogo con questa donna, samaritana e persino convivente. Qualcosa che per gli standard socio-religiosi dell’epoca era assolutamente sconveniente, specie per un Maestro. Egli, però, non si lascia condizionare dai pregiudizi, rompe gli schemi e dialoga con lei, la accoglie senza limitazioni. La sympateia di Gesù verso di lei viene prima ancora della sua conversione. Ella si sente accolta, importante, viene coinvolta in un cammino. Nel chiederle acqua Gesù manifesta il modo tipico di agire di Dio: quando Egli chiede qualcosa alla sua creatura, essa riceve sempre infinitamente di più di quanto le è chiesto di dare. Così accade anche in ogni esperienza vocazionale. Il cammino che Gesù apre alla donna, attraverso la lettura della sua vita, anche delle pagine più contraddittorie e ombrose, la inducono alla domanda più profonda: come si può incontrare Dio? Il tempo delle figure è passato, è tempo di adorare Dio in spirito e verità, ossia nella verità dell’incontro personale con il Padre, che Gesù – il Messia che le sta di fronte – è venuto a rivelare nel mondo nel Gesù storico, capace di inserire tutti in quella comunione che Egli ha con il Padre e che dona a tutti i credenti. Dopo questo dialogo un particolare richiama la nostra attenzione: la donna abbandona la sua brocca al pozzo. Questo elemento è molto di più di un assenso fatto di parole, ma è il segno che, quanto le interessava prima, ora non le interessa più. Ella, dopo l’incontro con il Maestro, cambia l’ordine delle sue priorità e non può trattenere per sé la gioia dell’incontro, deve condividerla; per questo scappa a dare l’annuncio al suo villaggio. La sua testimonianza è forte e discreta, non si impone, ma suscita domande: ella pone l’interrogativo della fede e suscita il desiderio dell’incontro, relativizza la propria persona e lascia tutto lo spazio al Signore. Il frutto della sua missione è evidente: la sua gente viene stimolata dalla sua testimonianza, ma poi va oltre, per far posto all’esperienza personale: “Non è per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo veduto e sappiamo” (Gv 4,42).

II domenica di Quaresima/A: In ascolto… della luce

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 17,1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Commento

Proseguendo il percorso della quaresima, giungiamo alla seconda tappa domenicale di questo ciclo A, con la sua forte connotazione battesimale. Dopo aver meditato sul Vangelo delle tentazioni domenica scorsa, attraverso il quale siamo stati invitati a riflettere sull’identità del Figlio di Dio e sulla nostra dignità di figli nel Figlio, per incamminarci seriamente nella sua sequela, oggi viene offerto alla nostra contemplazione l’episodio della trasfigurazione di Gesù. Chiamati ad entrare nella battaglia spirituale di adesione quotidiana a Cristo e rinuncia al male e al peccato, in una strada veramente in salita, è come se per un momento venisse aperto per noi un sipario sulla meta pasquale, donandoci un’anticipazione della luce della Risurrezione. Nell’economia del Vangelo di Matteo, la trasfigurazione è la seconda delle tre grandi rivelazioni che Gesù fa del mistero che si nasconde sotto la sua povera umanità. La prima di queste rivelazioni accade all’inizio del suo ministero pubblico, nel battesimo del Giordano, dove la voce del Padre proclama: “questi è il Figlio mio prediletto in cui mi sono compiaciuto” (Mt 3,17). La terza, invece, è quella che avviene sotto la croce, quando il centurione, vedendo spirare il Salvatore, annuncia: “Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54). Nel mezzo del suo cammino terreno, rendendone partecipi Pietro, Giovanni e Giacomo, Gesù per un momento squarcia il velo della sua umanità per rivelare il mistero divino che c’è in Lui. Il suo volto e le sue vesti diventano raggianti e ciò avviene nel dialogo con Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, i pilastri delle Scritture. L’episodio della trasfigurazione, incastonato nel cuore della quaresima, tempo di faticosa conversione e di salita verso la meta pasquale, viene a regalarci un attimo di sollievo e ci ricorda sempre di nuovo che nella fatica del nostro quotidiano, fatto di ombre, di sfide e a volte anche di sconfitte, il volto di Cristo,  vero Dio e vero uomo, risplende per noi sempre di nuovo, quando attraverso le Scritture lette e meditate lo Spirito Santo ci permette di riconoscere la sua divina presenza. È questa, come per i tre discepoli, la nostra esperienza della trasfigurazione. Questi momenti di luce, di consolazione e di gioia nella nostra vita spirituale, sono delle continue “pacche sulle spalle”, che il Signore ci regala per poter proseguire il cammino con fermezza ed entusiasmo. Come Pietro, anche noi, questi momenti di luce vorremmo bloccarli per sempre come in una cattura-schermo, per dimenticare tutto il resto. Nello stupendo messaggio per questa quaresima 2023, proprio commentando l’episodio della trasfigurazione, il Papa invita a “non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo Lui solo” (Messaggio quaresima 2023). E Lui possiamo seguirlo in un solo modo, mentre siamo in questo mondo, vale a dire vivendo seriamente l’invito della voce del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (Mt 17,5). Mentre camminiamo sulle strade del mondo, infatti, nella provvisorietà della nostra vita terrena, è solo l’ascolto di Cristo, della sua Parola e la ricerca sincera della sua volontà, da cui scaturisce la purezza della fede, l’unica strada possibile per raggiungere la definitività della gloria, frutto maturo della sua croce e della sua risurrezione. Facciamo nostre, dunque, e parole di Pietro, uno dei testimoni di questo evento straordinario della trasfigurazione, che nella sua Lettera ci esorta così: “Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.  E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino” (2Pt 1,18-19).

I domenica di Quaresima/A: Le tentazioni e l’arma della Parola

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 4,1-11)

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Commento

Il ciclo delle domeniche di quaresima dell’anno liturgico A è caratterizzato da una particolare sottolineatura dei temi battesimali, che ci accompagneranno in tutto il percorso fino al Triduo pasquale, quando nella notte di Pasqua saremo chiamati a rinnovare le nostre promesse battesimali con un cuore nuovo. In questa domenica, attraverso l’episodio delle tentazioni di Gesù, siamo invitati a riflettere sulla sua identità di Figlio di Dio e sulla dignità di ciascuno di noi come cristiano. In un famoso discorso, san Leone Magno, così ci esorta: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna”. La tentazione, prima di essere l’invito a compiere qualcosa di sbagliato, è un errore circa la verità di Dio e la verità di noi stessi. Le tentazioni che Gesù visse nel deserto, luogo della solitudine e della prova, con evidente richiamo all’esperienza quarantennale di Israele in uscita dall’Egitto, sono profondamente legate alla sua umanità: sono segni concreti che la sua incarnazione è un fatto reale, non apparente o ideale. L’opera del maligno consiste nel voler travisare il piano del Padre per Gesù, creando delle “scorciatoie”, che bypassino la sua umanità. L’uomo ha fame, ha dei bisogni materiali, tuttavia essi non sono assoluti. Anche Gesù ce li ha, ha fame, ma la sua identità è quella del Messia Salvatore, il suo cibo è fare la volontà del Padre. Porre i bisogni terreni come priorità assoluta snatura il volto di Dio e trasforma dei mezzi in fini. L’arma della Scrittura, con cui Gesù risponde alla tentazione diabolica, ci fa ben comprendere questo suo approccio. Ciò che conta veramente per l’uomo è rimanere nella Parola, cercare la volontà di Dio e usare dei beni materiali sempre come strumenti, mai come fini. Dopo l’insuccesso della prima tentazione, il maligno torna alla carica con qualcosa di più sottile. Non è riuscito con l’assolutizzazione di ciò che è materiale, prova con la spettacolarizzazione. Da un’opera salvifica fatta di nascondimento, umiltà, offerta e dono, secondo il disegno del Padre, satana vorrebbe indurre Gesù ad un messianismo magico, rumoroso, spettacolare e da prima pagina. Questa tentazione può essere impattante anche nella nostra vita, quando cerchiamo segni, prodigi, miracoli, che ci confermino nelle nostre idee, piuttosto che ricercare nel silenzio e nella fatica della fede vissuta nel quotidiano il volto del Padre, che preferisce il sussurro del vento leggero della Parola, piuttosto che la dirompenza del vento, la violenza del terremoto o il calore del fuoco (cfr. 1Re 19,11-12). Infine, la più sottile di tutte le tentazioni, quella del potere: cambiare il progetto di amore e donazione, per uno di oppressione e dominio. Questo atteggiamento richiede di eliminare Dio e porre l’idolo di se stessi, del potere e del male al di sopra di Lui. L’arma vincente è quella di riconoscere che solo Dio, è il Signore, fonte di ogni potere e benedizione, mentre l’uomo è chiamato ad obbedirgli e rimanere in quella totale e salutare dipendenza da Lui. Muovendo i primi passi di questo cammino quaresimale, dunque, siamo invitati come Gesù ad essere guidati dallo Spirito, attraverso l’esperienza della prova, confidando nella forza della fede e nella potenza dalla sua Parola, che è sempre l’arma vincente contro gli assalti del male, che è comunque destinato a perire. Rimanendo saldi in questo cammino, quando nella notte di pasqua ci sarà chiesto: “Rinunci a satana?”, potremo rispondere con convinzione: “Rinuncio!”. Il no al male, tuttavia, non basta: abbiamo bisogno di dire anche con convinzione: “Credo che Dio c’è ed è mio Padre, che mi ama in Cristo e vuole salvarmi, rendendomi figlio in suo Figlio!”. Buon cammino a tutti!

25 febbraio 2023: Beato Domenico Lentini da Lauria, una luce da riscoprire

di Giusy Luglio

Cari lettori, oggi, in occasione della festa del Beato Domenico Lentini, che cade nel cuore del Giubileo Lentiniano, corrispondente al XXV anniversario della Beatificazione, il blog è lieto di presentarvi la sua figura di luminosa e semplice santità.

Nato nel 1770 a Lauria, piccolo centro della Basilicata, nel sud Italia, da una famiglia umile, sin dai primi anni dell’adolescenza Domenico avverte un forte e ardente desiderio di seguire Cristo. Con molti sacrifici la famiglia gli permette di iniziare gli studi prima a Lauria e in seguito nel Seminario vescovile di Policastro. L’8 giugno del 1794 viene ordinato sacerdote a Marsico Nuovo (Potenza), essendo vacante la sede vescovile di Policastro. Don Domenico vive pienamente il proprio impegno sacerdotale a Lauria. Si dedica in maniera attenta ai giovani, di cui è stato “amico e confidente, maestro della scienza e padre della vita”, impartendo lezioni nella piccola casetta nel rione Cafaro. Alla scuola di don Domenico non si apprendevano solo le lettere, la filosofia o il greco e il latino, ma forte era il richiamo alla vita sacramentale, con la partecipazione dei ragazzi alla Santa Messa e a momenti di preghiera comune. Centrale è poi il suo impegno nel sacramento della confessione. Accoglieva nel confessionale tutti ed era sempre pronto a dividere con i peccatori le penitenze, anche le più austere. Infatti, come ricordava San Giovanni Paolo II nell’omelia della beatificazione, “(il Beato Domenico Lentini) sapeva bene che nella celebrazione del sacramento della Penitenza il sacerdote diviene dispensatore della misericordia divina e testimone della nuova vita che nasce grazie al pentimento del penitente ed al perdono del Signore”. Uomo di carità e di totale dedizione ai poveri, impossibile è da dimenticare la sua attività di predicatore, accompagnata da preghiere e digiuni. Nel periodo di Quaresima si recava in diversi paesi della Lucania per annunciare a tutti il grande mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore. Con forza si rivolgeva ai fedeli per scuotere le coscienze, rendendo visibili attraverso le sole parole la sofferenza della Passione di Cristo e la gioia della Risurrezione. In una omelia della Domenica di Pasqua così si esprimeva: “Fratelli e sorelle in Gesù Cristo, il cielo è già aperto per voi; la bella corona del Paradiso è già preparata; coraggio adunque, animo e coraggio per la carriera della penitenza, per la via dei comandamenti di Dio. Voi per queste vie dovete camminare, ed è poco; dovete correre, non basta ancora; dovete, dovete volare, né vi dovete punto fermare, finché non si giunga lassù ad ottenere quell’eterna gloria del Paradiso, che il risorto Signore a tutti ed a ciascuno di voi conceda. Amen”. Nei primi giorni di febbraio del 1828 don Domenico inizia ad avvertire i segni della malattia e comprende bene che l’incontro con lo Sposo, che tanto aveva amato e servito, era ormai vicino. Muore il 25 febbraio dello stesso anno e il suo corpo, esposto nella chiesa di San Nicola, continua a mantenere il calore e la flessibilità di un corpo vivo e ad emanare profumo come di rosa. E a noi cosa insegna oggi don Domenico, sacerdote umile e ricco solo del suo sacerdozio? In un mondo dominato dall’indifferenza don Domenico continua a ricordarci che il prossimo non può e non deve essere dimenticato. Dobbiamo risvegliare l’attenzione, la capacità di ascolto; dobbiamo imparare ad accogliere chi è più vicino a noi, chi nella società vive in condizioni di difficoltà, di solitudine e di povertà. Don Domenico ricorda a tutti che è importante vivere con i giovani, per conoscere le loro esigenze, i loro desideri, i loro timori, educandoli, indirizzandoli sempre sulla via maestra del Vangelo e non facendo mai mancare loro guide sicure.  Ci insegna, infine, a vivere da cristiani, fragili e peccatori, nel mondo in comunione con Dio, certi della Sua infinita Misericordia e del suo amore di Padre. Facciamo, allora, risuonare sempre nella nostra vita le dolci note delle parole di don Domenico: “Gesù Cristo è il mio bene, il mio tesoro, il mio tutto!”.

Mercoledì delle Ceneri 2023: Il tempo dell’ascolto e del ritorno

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,1-6.16-18)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Commento

Con la liturgia del Mercoledì delle ceneri, caratterizzata dal gesto suggestivo dell’imposizione delle ceneri, diamo inizio solennemente al tempo santo ed austero della Quaresima. Un tempo forte, di quaranta giorni, in cui guidati dalla Parola di Dio, dalla preghiera, dalla penitenza e dalle opere di carità, siamo invitati a riscoprire la bellezza della nostra dignità battesimale, che risplende ancora più luminosa per mezzo del cammino di conversione dal peccato alla grazia, che tutti siamo invitati a intraprendere con decisione. Prendendo spunto dall’episodio della Trasfigurazione, il Santo Padre nel messaggio per la Quaresima 2023, così ci invita a viverla: “In questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi” (Messaggio per la Quaresima 2023 “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”). La Quaresima, dunque, vuole essere in qualche modo un tempo di “fuga” dalle distrazioni, dall’attivismo, dalle preoccupazioni che soffocano il nostro cuore, per ritrovarci di più con il Signore nello spazio sacro del dialogo amoroso e filiale con Lui. La quaresima, come ci dice ancora Papa Francesco, è tempo di ascolto di Dio che ci parla: “E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare  sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto”. Questo incontro forte con il Signore, tuttavia, non deve allontanarci dalla realtà, ma come ci ricorda ancora il Pontefice, esso non può tradursi nel “rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La quaresima, dunque, attraverso l’ascolto, il riconoscimento umile delle proprie fragilità e peccati, delle proprie incoerenze ed inconsistenze, ci aiuta a rimanere con i piedi ben ancorati sulla terra, riconducendoci a ciò che in noi è vero ed essenziale: siamo polvere ed in polvere ritorniamo. Se vogliamo costruire davvero qualcosa di stabile, che non passa, che ci apre le porte dell’eternità, dobbiamo rimettere Dio al centro della nostra vita. L’elemosina, il digiuno e la preghiera sono le armi spirituali attraverso le quali, ascoltando Lui, nell’intimità del nostro cuore, possiamo riequilibrare il nostro rapporto con il prossimo (elemosina), con chi è nel bisogno, vincendo l’egoismo e l’autoreferenzialità, con noi stessi (digiuno), controllando le nostre passioni, liberandole dagli attaccamenti disordinati e con il Padre (preghiera), ritornando a Lui con tutto il cuore, in quel dialogo profondo che già da questa terra è anticipo dell’eternità. Buona quaresima di ascolto e di conversione a tutti!

Leggi il testo completo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2023

VII domenica del T.O./A: Dall’ordinario allo straordinario

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 5,38-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Commento

Gesù prosegue nel brano di questa domenica con il suo insegnamento di giustizia superiore, che va oltre quella degli scribi e dei farisei. Come si commentava domenica scorsa, la sua intenzione è quella di andare oltre la pura osservanza letterale della legge antica, per rivelarne lo spirito, il cui nucleo è dato dall’amore vero. Attraverso le due ulteriori antitesi che ci vengono proposte, Gesù tocca due nervi scoperti delle relazioni umane, il tema della reazione al male e alle offese subite e quello della gestione dei rapporti difficili. In primis, partendo dalla cosiddetta “legge del taglione”, già presente nel codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.) e che trova piena accoglienza nell’Antico Testamento (Es 21,23-25; Lv 24,19-20; Dt 19,18-21), Gesù presenta una prospettiva nuova, rispetto al modo di reagire al male subíto. Bisogna anzitutto dire che, sebbene con la nostra mentalità “evoluta” oggi riteniamo questa legge antica come primitiva, inumana e dura, nell’antichità essa aveva introdotto una proporzionalità nel modo di reagire alle offese ricevute, che era tutt’altro che primitiva. Dalla vendetta incontrollata e sproporzionata, mediante questa regola, si poneva un limite alle reazioni, che non potevano mai superare l’intensità delle offese subite. Si tratta senza dubbio dell’introduzione di una scelta di giustizia, che pone un freno all’istinto vendicativo. Questa esigenza di giustizia, dunque, diviene un invito per noi a riflettere su un aspetto importante, non contraddetto dall’insegnamento di Gesù: prima di amore e carità, come uomini e ancor più come cristiani, non possiamo mai prescindere dalle esigenze della giustizia. Senza il presupposto della giustizia, non si può mai parlare di carità. Una carità che non contenga in sè stessa la giustizia, non può mai configurarsi come carità. La proposta di Gesù, infatti, non vuole mai mistificare il male ricevuto, nascondendolo o addomesticandolo, quanto piuttosto propone di chiamarlo per nome e di reagire ad esso con una forza superiore, quella del bene. San Paolo ben commenta nella Lettera ai Romani: “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. […]Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,17.21). Rispetto a quelle difficoltà di rapporto, che si possono incontrare nelle nostre famiglie, nelle compagini sociali, come persino nelle nostre comunità ecclesiali, le cosiddette “inimicizie”, la proposta di Gesù ci invita a superare il semplice approccio simmetrico (ama chi ti ama e odia chi ti odia), scegliendo l’amore per i nostri nemici. La ragione sta tutta nel guarare in alto, al modo in cui Dio Padre si pone con l’umanità. Lui non fa preferenze, dona a tutti sempre allo stesso modo, sia ai giusti che agli ingiusti, dando loro la possibilità di ravvedersi e di cambiare. Ovviamente, tutto ciò ha a che vedere con la santità. Ogni giorno ci si ripropone la questione: come voglio vivere? Mi basta comportarmi in modo ordinario, accontentandomi di non fare nulla di male, oppure voglio andare nello straordinario, seminando amore, perdono e riconciliazione, come fa il Padre che è nei cieli?

VI domenica del T.O./A: La giustizia superiore dell’amore vero

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 17-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Commento

La pagina evangelica di questa domenica si presenta densissima e molto graffiante. Gesù , come nuovo Mosè, ci riporta al cuore stesso della legge. Non è sufficiente un’osservanza che sia puramente superficiale ed esteriore, ma occorre scendere nella profondità di quei precetti che Dio ha donato ad Israele, per indicare la retta via e rimanere nel recinto dell’amicizia con Lui. Le degenerazioni del fariseismo e degli studiosi della legge rendevano schiavi della lettera, Gesù viene ad illuminarci sul cuore stesso di questa legge, che è la giustizia superiore dell’amore vero. Essa germina in qualcosa di ancora più profondo dei gesti esteriori, tocca la parte più intima dell’uomo, dal quale sorgono le intenzioni più sante, ma anche i progetti di male più abominevoli. Attraverso le cosiddette antitesi, Gesù riprende alcuni passaggi noti e chiari della legge antica e li rilegge in modo approfondito e radicale, gettando luce nelle  mozioni più profonde del cuore. Si può essere assassini, infatti, pur non uccidendo materialmente nessuno, quando nel cuore si coltivano odio, rancore, vendetta, si cancella l’esistenza dell’altro, si pensa male di lui, lo si vede come un nemico. Finché siamo in questo mondo, vincendo noi stessi e confidando nella grazia, siamo sempre in tempo per correggere il tiro di queste radici di morte che si annidano in noi. Si può essere adulteri, pur senza consumarne l’azione, quando lo sguardo apre il cuore a desiderare un altro o un’altra, mentre si è nel vincolo santo del matrimonio, oppure pur non essendolo, si desidera chi lo è con un altro o un’altra. Non si è nella verità dell’amore, quando l’altro si considera un oggetto da possedere o cambiare a piacimento, svuotando il senso delle relazioni più vere. La parola umana richiede linearità e trasparenza, senza bisogno di sotterfugi, per mostrare la propria credibilità. Se il nostro comunicare è privo di ambiguità e doppiezze, non diamo spazio alla menzogna e alla finzione di avvelenare la nostra vita. Sono esigenze certamente alte quelle che Gesù ci propone nel suo insegnamento. Sappiamo, però, che questo percorso di interiorizzazione della vera giustizia, non è frutto del nostro sforzo, ma della luce dello Spirito che agisce in noi. Con Sant’Agostino, trasformiamo questa nostra riflessione in preghiera: “Ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della tua misericordia. Da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi” (Confessioni, X, 29.40)

V domenica del T.O./A: Vincere le tenebre dell’insipienza

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,13-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Commento

Proseguendo il suo insegnamento sul monte, nella pagina evangelica che la liturgia ci propone per questa domenica, Gesù ci consegna due immagini molto semplici e concrete, ma allo stesso tempo altamente cariche di significato, per presentare l’identità del discepolo: il sale e la luce. Partendo dalla prima, siamo invitati a riflettere sul significato del sale. Esso è un elemento naturale, che serve a dar sapore ai cibi e a conservarli. Il sale è anche utile alla terra per concimarla. Si caratterizza per un sapore forte, deciso, fermo. Perché allora Gesù usa questo paragone per definire l’identità dei suoi discepoli? Quando pensiamo al Maestro, al suo insegnamento e al suo ministero, siamo spesso mossi dal contemplarne la dolcezza, la bontà, l’amorevolezza. Lui stesso, però, nella Scrittura ci ha detto chiaramente: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada” (Mt 10,34). Il suo passaggio infatti non è stato e non è mai irrilevante e melenso, al contrario è forte e deciso, richiede una seria presa di posizione e il cambiamento serio. Anche noi, come discepoli, siamo chiamati ad essere forti e decisi, proprio come il sapore del sale. La cultura di massa oggi ci induce a vivere in modo un po’ insipiente, soprattutto quando ci rifugiamo nelle nostre comodità e nel nostro individualismo, senza lasciarci toccare da quanto ci sta attorno. Seguire Cristo ed essere suoi discepoli, invece, ci provoca sempre di nuovo ad essere fecondi, a concimare la realtà dove viviamo, a dare sapore a quanto ci circonda, uscendo dai noi stessi e non soccombendo alle tenebre dell’insipienza insignificante. La seconda immagine, poi, quella della luce, viaggia di pari passo con la prima. L’insipienza è come le tenebre, in cui non si distingue nulla, tutto sembra immobile e stagnante. La luce di Cristo, invece, svela le forme e i colori, trasfigura le linee e permette di cogliere il dinamismo della vita. I discepoli, che vivono di Lui, ricevono in sé stessi questa luce soprannaturale e divenendone partecipi attraverso la grazia, sono chiamati ad espanderla attorno a sé nella trasparenza della vita. Spesso, però, la nostra vita rimane nell’opacità del peccato e dell’incoerenza e non permette alla luce di espandersi e raggiungere gli altri. La trasparenza che permette alla luce di riverberarsi e di non rimanere intrappolata è rappresentata dalle opere buone che il discepolo realizza, come frutti maturi di carità. La bellezza di questi frutti non è mai fine a sé stessa, ma come ci dice chiaramente Gesù, è finalizzata alla gloria di Dio. Oggi, interrogandoci seriamente sul senso della nostra presenza in questo mondo, siamo invitati a domandarci: la mia testimonianza cristiana è davvero significativa, feconda e incisiva, come il sapore del sale? La mia vita è trasparenza della luce di Cristo, oppure la mia opacità ne blocca gli effetti. Infine, attraverso le opere buone che fioriscono nella mia vita – sempre come effetti della grazia!-, aiuto gli altri a rendere gloria al Padre che è nei cieli, oppure desidero che i riflettori siano continuamente puntati su me stesso? Solo pochi versetti più avanti, nel capitolo 6 di San Matteo, Gesù ci ricorda: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.  Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa” (Mt 6, 1-2).

Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)

La vita interiore ci rivela i nostri limiti e le nostre negatività. È ricerca di luce ed esperienza di illuminazione, ma dove la luce splende nel fondo delle tenebre. È necessario toccare questo fondo buio di sé per conoscere la luce. Uno splendido racconto mistico musulmano (di Suhrawardî), in forma di dialogo, dice: – O sapiente, dove si trova la fonte della vita? – Nelle tenebre. Se vuoi partire alla ricerca di questa fonte, mettiti i sandali e avanza nel cammino dell’abbandono confidente, finché arriverai alla regione delle tenebre. – Da che parte si trova il sentiero per questa regione? – Da qualunque parte tu vada, se sei un vero pellegrino, tu compirai il viaggio. – Che cosa segnala la regione delle tenebre? – L’oscurità di cui si prende coscienza. Quando colui che intraprende questo cammino vede se stesso come uno che è nelle tenebre, allora comprende che egli era anche prima e fino allora nella Notte, e che la luce del Giorno non ha ancora raggiunto il suo sguardo. Eccolo, il primo passo dei veri pellegrini. Il cercatore della fonte della vita nelle tenebre passa attraverso ogni sorta di stupori e angosce. Ma se è degno di trovare questa fonte, finalmente dopo le tenebre contemplerà la luce. Allora non dovrà fuggire davanti alla luce, perché questa luce è uno splendore che, dall’alto dei cieli scende sulla fonte della luce (Cf. H. Corbin, «L’Archange empourpré: récit mystique de Sohrawardî», in Hermès 1 (1963), p. 21). È la luce della notte, delle tenebre, è la vita trovata là dove muore qualcosa, è il cammino della vita interiore, il descensus ad cor che porta a vedere le proprie tenebre, ad accettare le proprie limitatezze e a integrarle in un’esperienza di pacificazione e di unificazione. Chi vede la propria ignoranza e la conosce può entrare nella vera sapienza; chi vede i limiti della propria mortalità e temporalità può entrare nella vita; chi vede i propri limiti affettivi può entrare nell’autenticità dell’amore. Chi non accetta di vedere i propri limiti non potrà neppure iniziare a superarli o meglio, forse, a traversarli. Allora, questa illuminazione che viene dalla conoscenza delle proprie tenebre appare chiaramente come esperienza di resurrezione: se toccare il fondo del proprio cuore è esperienza di morte, la luce che si intravede è ingresso in una nuova vita. Allora si disvela l’uomo interiore (2Cor 4,16; Rm 7,22; Ef 3,16 e 1Pt 3,4 che parla dell’«uomo nascosto del cuore» là dove la Bibbia CEI traduce «l’interno del vostro cuore»), ovverosia una vita interiore che dà forza, unificazione pace, serenità, anche nel declinare delle forze e nell’andare verso la morte. Si sia credenti o no, se questa vita interiore è presente, forse si potrà fare della morte un compimento, non una fine. E si potrà dare vita alla propria vita (MANICARDI L., La vita interiore oggi. Emergenza di un tema e sue ambiguità, Magnano, Qiqajon, 1999, 25-26).

Preghiera

O Padre, non vogliamo possedere nessun vanto, nessuna gloria ma solo il nome del tuo Figlio crocifisso e risorto, un nome più prezioso e potente dell’oro e dell’argento per far alzare e camminare chi ha bisogno di speranza. È la sua Parola la luce che ci affidi perché si ravvivino i luoghi imprigionati dalle tenebre, è il vangelo la lampada che non si consuma, il sapore incorruttibile da dare all’esistenza. E sorgeranno le nostre opere buone, come un sole che non tramonta, perché acceso al tuo splendore.

IV domenica del Tempo Ordinario/A: Lo sguardo differente delle Beatitudini

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Commento

Il Vangelo di questa domenica invita a porci una domanda molto seria: come credenti, come guardiamo alla nostra vita e ai nostri obiettivi? Da un punto di vista solamente terreno, oppure la nostra scala valoriale si confronta con la memoria viva di Gesù? La pagina delle beatitudini, che apre il primo dei cinque discorsi attorno ai quali si costruisce il Vangelo secondo Matteo, rappresenta la “magna charta” della vita cristiana, o come ha detto qualcuno, la vera biografia di Gesù. Se Lui chiama beati i poveri in spirito, il mondo in cui viviamo sembra piuttosto esaltare i ricchi e i supponenti, coloro che non sembrano aver bisogno di nulla, ma sono sicuri di sé ed autoreferenziali. Voler divenire partecipi del regno di Dio, invece, deve necessariamente tradursi in una scelta di umiltà, dipendenza totale da Dio ed infanzia spirituale. Chi piange, nella nostra cultura, è uno “sfigato”, uno che non sa vivere, un debole. Esorcizzare la debolezza, illudendosi che il mondo sia fatto di super uomini, chiude ogni spazio alla consolazione di Dio, condannando alla disperazione. Solo chi sa riconciliarsi con la propria debolezza, sapendo piangere per il dolore o per la gioia, in un modo autenticamente umano, può trovare in Dio la vera consolazione, che apre alla speranza. Gli spazi – nella visione mondana – si conquistano con la prepotenza, la violenza e il sopruso. Nella prospettiva di Gesù, è solo la mitezza, ossia la bontà di chi rinuncia ad ogni guerra fratricida, perché riconosce nell’altro l’immagine di Dio, a poter guadagnare la terra promessa della vita eterna. Il sazio, che nella prospettiva del mondo è chi guadagna il più possibile, anche a scapito della giustizia e della correttezza, nella logica del Regno è colui che desidera la giustizia vera, in cui non ci sono parzialità e disuguaglianze, ma il bene, il vero e l’equo trionfano sempre. La sete di vendetta che agita tanti cuori può essere vinta solo dalla Misericordia. Come ci ricordava San Giovanni Paolo II, essa è il solo margine a tutto il male del mondo, che guarisce noi stessi e gli altri dal tarlo della vendetta. Lo sguardo del cuore è capace di vedere Dio, specialmente nei fratelli, quando esso è trasparente e puro, libero da ogni egoismo e libidinosa cupidigia, che fa vedere le persone come oggetti, piuttosto che soggetti da amare e rispettare e da cui essere amati e rispettati. Saremo veramente partecipi della natura divina, figli nel Figlio, se alla prevaricazione e all’odio, alla mancanza di dialogo e comunione, risponderemo costruendo ponti di pace ad ogni livello. La schiera degli eletti, cui appartiene il regno, è composta da chi per amore della giustizia affronta le persecuzioni degli ingiusti e di coloro che la disprezzano. Se scegliamo Cristo, e non il mondo, abbracciando il rifiuto e il disprezzo di Lui che il maligno insinua in esso, saremo felici per sempre. Non ci viene promesso nulla qui giù; è  solo nell’eternità con Lui che potremo sperimentare la vera gioia che non conoscerà tramonto. Se tutti scegliessimo questa strada in salita, per quanto faticosa che sia, oltre alla felicità senza fine che ci viene promessa dopo la morte, anche questo mondo sarebbe trasfigurato da una luce differente.

Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)

Le beatitudini indicano il cammino della felicità. E, tuttavia, il loro messaggio suscita spesso perplessità. Gli Atti degli apostoli (20,35) riferiscono una frase di Gesù che non si trova nei vangeli. Agli anziani di Efeso Paolo raccomanda di «ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”». Da ciò si deve concludere che l’abnegazione sarebbe il segreto della felicità? Quando Gesù evoca ‘la felicità del dare’, parla in base a ciò che lui stesso fa. È proprio questa gioia – questa felicità sentita con esultanza – che Cristo offre di sperimentare a quelli che lo seguono. Il segreto della felicità dell’uomo sta dunque nel prender parte alla gioia di Dio. È associandosi alla sua ‘misericordia’, dando senza nulla aspettarsi in cambio, dimenticando se stessi, fino a perdersi, che si viene associati alla ‘gioia del cielo’. L’uomo non ‘trova se stesso’ se non perdendosi ‘per causa di Cristo’. Questo dono senza ritorno è la chiave di tutte le beatitudini. Cristo le vive in pienezza per consentirci di viverle a nostra volta e di ricevere da esse la felicità. Resta tuttavia il fatto, per chi ascolta queste beatitudini, che deve fare i conti con una esitazione: quale felicità reale, concreta, tangibile viene offerta? Già gli apostoli chiedevano a Gesù: «E noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che ricompensa avremo?» (Mt 19,27). Il regno dei cieli, la terra promessa, la consolazione, la pienezza della giustizia, la misericordia, vedere Dio, essere figli di Dio. In tutti questi doni promessi, e che costituiscono la nostra felicità, brilla una luce abbagliante, quella di Cristo risorto, nel quale risusciteremo. Se già fin d’ora, infatti, siamo figli di Dio, ciò che saremo non è stato ancora manifestato. Sappiamo che quando questa manifestazione avverrà, noi saremo simili a lui «perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2), (J.-M. LUSTIGER, Siate felici, Marietti, Genova, 1998, 111-117).

Preghiera

Signore Gesù Cristo,
custodisci questi giovani nel tuo amore.
Fà che odano la tua voce e credano a ciò che tu dici,
poiché tu solo hai parole di vita eterna.
Insegna loro come professare la propria fede,
come donare il proprio amore,
come comunicare la propria speranza agli altri.
Rendili testimoni convincenti del tuo Vangelo,
in un mondo che ha tanto bisogno della tua grazia che salva.
Fà di loro il nuovo popolo delle Beatitudini,
perché siano sale della terra e luce del mondo
all’inizio del terzo millennio cristiano.
Maria, Madre della Chiesa,
proteggi e guida questi giovani uomini e giovani donne del ventunesimo secolo.
Tienili tutti stretti al tuo materno cuore.
Amen.

(Preghiera di Giovanni Paolo II, al termine della Giornata della Gioventù di Toronto)