Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Commento

La solennità odierna è come una eco di quanto abbiamo celebrato lo scorso Giovedi santo, quando nell’apertura del Triduo Pasquale, abbiamo contemplato l’istituzione del sacramento dell’amore, che Gesù ha voluto lasciarci per perpetuare il memoriale della sua Passione, morte e resurrezione in mezzo a noi. Mentre in quella celebrazione si è sottolineato il senso dell’istituzione, in questa solennità odierna, nata in Belgio e poi estesa a tutta la Chiesa nel XIII secolo, specialmente come risposta a grandi errori dottrinali che negavano la presenza reale del Signore, si vuole contemplare, adorare e testimoniare con forza la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità, sotto i veli del pane e del vino consacrati. Nella famosa sequenza che da secoli la Chiesa canta in questa festa, abbiamo poc’anzi ripetuto: “È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura” (Sequenza del Corpus Domini). È verità di fede, rivelata da Cristo nelle Scritture, custodita e accolta dalla Chiesa, che quando il sacerdote invoca lo Spirito su due semplici elementi, che sono il pane e il vino, attraverso le parole dell’istituzione consegnateci da Cristo, Lui stesso si dona a noi, facendosi nostro cibo e bevanda per la vita del mondo. Non vediamo con gli occhi della carne, non comprendiamo con la ragione, come il Dio vivo e vero, infinito ed eterno, possa nascondersi in un pezzo di pane ed in poche gocce di vino. Solo la fede ci conferma e ci permette di andare oltre le nostre umane comprensioni. Pane e vino, come si ripete nella liturgia alla loro presentazione sull’altare, sono “frutti della terra e del lavoro dell’uomo”. Essi sono originati dalla natura, nei loro elementi essenziali che sono il grano e l’uva, ma non prenderebbero la forma di cibo e bevanda graditi e piacevoli, senza il lungo processo che vede l’uomo protagonista. Il pane è emblema del nutrimento per eccellenza, fonte di sostegno ed energia per l’uomo, per questo si dice che “sostiene il suo cuore”; il vino è bevanda per eccellenza, perché disseta, riscalda, distende, quindi “allieta il cuore dell’uomo”. Il profumo del pane e del vino attraversa tutta la Scrittura, dal momento che si tratta di elementi fondamentali per la vita dell’uomo. Il pane, da elemento di sofferenza per Adamo, costretto a produrlo con il sudore del suo volto (cfr. Gen 3,19), diventa oggetto di offerta gradita a Dio, fino a giungere all’identificazione di Cristo stesso con esso: “Io sono il pane vivo” (Gv 6,51) e alla sua scelta di renderlo segno sacramentale del suo Corpo. Così il vino, causa di peccato e di disordine quando abusato, diventa segno della festa, della condivisione e della gioia ritrovata dall’annuncio dell’ora di Cristo nelle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-12), fino alla scelta di esso come segno sacramentale del suo Sangue nell’Eucaristia. Per poter entrare nel vivo di questo mistero – come accennavamo – è necessaria la fede. E questa fede si nutre dell’ascolto della Parola di Cristo, consegnata a noi dagli Apostoli. Questa parola è dura, causa incomprensioni e conflitti, come abbiamo ascoltato nella pagina evangelica di oggi, tratta dallo splendido capitolo VI del Vangelo di Giovanni. Dio, in Cristo, si interessa di noi, non vuole lasciarci affamati e assetati in questo cammino della vita. L’uomo non vive di solo pane materiale, ma ha bisogno di Dio, sempre! Fu questa la lezione data ad Israele nel deserto, mentre nella calura e nell’arsura, Dio inviò loro la manna e l’acqua. Mentre lì erano solo figure, in Cristo, tutto raggiunge il suo compimento e l’Eucaristia da Lui istituita è il pane vivo, che viene dal cielo, da Dio, per rispondere a questa fame di assoluto che l’uomo si porta dentro. Troppo spesso l’umanità tende a nascondere questa fame in molti modi, riempiendosi di cose che non sono di Dio e così precludendosi di avere in Lui la vera vita senza fine. Comprendere la centralità dell’Eucaristia nella nostra vita significa riscoprire che noi non possiamo vivere senza Cristo, perché entrando in comunione con Lui, veniamo trasformati in Lui. Mentre per gli altri cibi, quando li consumiamo, accade che vengano trasformati in noi, in cellule, sangue e tessuti, al contrario, quando ci nutriamo di Cristo, con una coscienza pura e riconciliata, siamo noi ad essere trasformati in Lui. Nelle Confessioni, Sant’Agostino pone sulla bocca di Gesù queste parole meravigliose: “Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me” (VII, 10, 16). Benedetto XVI, riferendosi a queste parole del grande Agostino, così commentava: “Non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; «ci attira dentro di sé»” (Sacramentum Caritatis, n. 70).
Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)
Non è facile mettere l’Eucaristia al centro! Non è facile accogliere il messaggio del sacramento dell’Eucaristia nella sua forza. I testi del Nuovo Testamento alludono spesso all’incomprensione che essa incontra in coloro cui essa è destinata. Il primo documento neotestamentario sull’Eucaristia denuncia la maniera scorretta con cui essa veniva celebrata dai cristiani di Corinto. Luca racconta come durante l’Ultima Cena i discepoli discutessero chi fosse tra loro il più grande. Nel capitolo 6 di Giovanni si incontra l’incomprensione da parte degli ascoltatori di Gesù: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”. Nell’Eucaristia l’amore di Dio si manifesta nelle sue forme più pure e sconvolgenti ed incontra un uomo che è spaesato dinanzi a cose immensamente più grandi di lui. L’Eucaristia è la meta di un lungo cammino. Confessare umilmente le nostre lacune o anche semplicemente le nostre incertezze e difficoltà, è il primo passo da compiere per riscoprire l’inesauribile ricchezza di questo mistero (Card. Carlo Maria Martini).
Preghiera
O Dio nascosto nella prigione del tabernacolo! Con gioia vengo accanto a voi ogni sera per ringraziarvi dei favori che mi avete concesso e per implorare perdono delle mancanze commesse durante questo giorno che si è dileguato come un sogno. Gesù, come sarei felice se fossi stata interamente fedele! Ma spesso la sera sono triste perché sento che avrei potuto corrispondere meglio alle vostre grazie. Se fossi stata più unita a voi, più caritatevole con le consorelle, più umile e più mortificata, avrei meno pena ad intrattenermi con voi nell’orazione. Tuttavia, o mio Dio, ben lungi dallo scoraggiarmi alla vista delle mie miserie, vengo a voi con fiducia, ricordando che “Non quelli che stanno bene hanno bisogno del medico, ma i malati”. Vi supplico perciò di guarirmi, di perdonarmi, ed io, Signore, mi ricorderò che l’anima alla quale più avete perdonato, deve amarvi più delle altre. Vi offro tutti i battiti del cuore come altrettanti atti d’amore e di riparazione e li unisco ai vostri meriti infiniti. Vi scongiuro, sposo mio divino, di essere voi stesso il riparatore della mia anima, di agire in me senza tener conto delle mie resistenze; in una parola: non voglio più avere altra volontà che la vostra. E domani, con il soccorso della vostra grazia, ricomincerò una vita nuova. Dopo essere venuta così ogni sera ai piedi del vostro altare, arriverò infine all’ultima sera della mia vita; allora comincerà per me il giorno senza tramonto dell’eternità, in cui mi riposerò sul vostro Cuore divino dalle lotte dell’esilio. Così sia! (Preghiera composta da S. Teresa di Lisieux, il 16 luglio 1895, per Sr. Marta di Gesù).
Lascia un commento