Caritas Veritatis

L'amore della Verità cerca l'ozio santo (Sant'Agostino)… blog di riflessioni, pensieri e condivisioni cristiane..


Solennità di Pentecoste/C 2025: “La convivialità delle differenze”

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-16.23b-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Commento

La solennità di Pentecoste è il compimento della Pasqua. Non è una semplice “festa dello Spirito Santo”, ma la celebrazione del giorno in cui lo Spirito, promesso dal Risorto, viene effuso sulla Chiesa nascente. È il momento in cui la promessa si compie, il giorno in cui Dio entra nella storia con una nuova intensità, come vento impetuoso e fuoco ardente, come luce interiore e Presenza trasformante. Nel Cenacolo, luogo della memoria dell’ultima Cena, luogo della paura e della preghiera, scende lo Spirito: e tutto cambia. I discepoli diventano apostoli, Pietro ritrova il coraggio perduto, le lingue si sciolgono, le porte si aprono. È il “natale” della Chiesa, che nasce non per iniziativa umana, ma per iniziativa divina. La Pentecoste è l’irruzione dell’eternità nel tempo, della grazia nella carne, della missione nella storia. Il Vangelo di Giovanni ci conduce nel cuore di una rivelazione trinitaria: il Padre manda lo Spirito nel nome del Figlio, e il credente è chiamato ad accogliere questa Presenza nuova, interiore, permanente. Lo Spirito è il Consolatore, l’Avvocato, Colui che difende, guida, illumina, purifica. Egli non sostituisce Gesù, ma lo rende presente in modo nuovo, facendoci partecipi della vita del Figlio, figli nel Figlio. Non possiamo pensare la vita cristiana senza di Lui: è lo Spirito che ci conforma a Cristo, ci unisce al Padre, ci fa vivere la fede come relazione viva e trasformante. La sua azione non è accessoria, ma essenziale: è Lui che vivifica, che dà la vita stessa di Dio all’uomo, che ci cristifica giorno dopo giorno. Nel racconto di Pentecoste che troviamo negli Atti degli Apostoli, vediamo lo Spirito che irrompe con forza creatrice: la Parola sussurrata da Gesù nel Cenacolo ora esplode nelle piazze. La diversità delle lingue diventa segno di una comunione più profonda. Se a Babele le lingue avevano diviso, ora esse testimoniano un’unità nuova: quella generata dallo Spirito, che non annulla le differenze, ma le riconcilia. È l’unità senza uniformità, la comunione nella pluralità, che solo Dio può creare. Questa è la sfida anche per la nostra Chiesa e per le nostre comunità oggi. Viviamo tempi di forti polarizzazioni, dentro e fuori la Chiesa: tensioni ideologiche, contrapposizioni culturali, sensibilità ecclesiali che faticano a comunicare. Lo Spirito ci ricorda che la vera comunione non è frutto del compromesso o dell’omologazione, ma dell’amore che unisce le differenze. È Lui a generare quella “convivialità delle differenze” di cui parlava il Servo di Dio mons. Tonino Bello. È lo Spirito che ci insegna a vedere nell’altro un fratello, anche quando è diverso da noi. La Pentecoste ci chiama a uscire dai nostri cenacoli chiusi, dalle nostre paure, per diventare Chiesa missionaria, profetica, capace di annunciare il Vangelo nella lingua dell’altro, con rispetto e libertà interiore. La Pentecoste, inoltre, interpella anche ciascuno di noi nel profondo. San Paolo ci ricorda che vivere “secondo lo Spirito” significa lasciarsi guidare interiormente, essere condotti non dalla carne ma dalla grazia, non dalla paura ma dalla fiducia filiale. Lo Spirito ci rende figli, ci libera dalle opere della morte, ci rende capaci di dire “Abbà, Padre!”. È Lui che grida in noi, che prega in noi, che ci muove a una vita nuova. La nostra stessa fede, se è autentica, è già frutto della sua azione. Pentecoste è dunque il tempo del discernimento: quale spirito ci guida? Il frutto dello Spirito – amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, fedeltà, dominio di sé – è visibile nella nostra vita? Oppure restiamo avvinghiati alle opere della carne: gelosie, divisioni, egoismi? La festa di oggi ci chiede di scegliere la vita, quella vera, quella che viene dall’Alto e ci porta verso l’Alto

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)

«Credere nello Spirito Santo, nello Spirito di Dio, significa per me ammettere fiduciosamente che Dio stesso può farsi presente nel mio intimo, che egli come potenza e forza di grazia può diventare il signore del mio intimo ambivalente, del mio cuore spesso così insondabile. E, ciò che qui è per me particolarmente importante: lo Spirito di Dio non è uno spirito di schiavitù. Egli è comunque lo Spirito di Gesù Cristo, che è lo Spirito di libertà. Questo Spirito di libertà promanava già dalle parole e dalle azioni del Nazareno. Il suo Spirito è ora definitivamente lo Spirito di Dio, da quando il Crocifisso è stato glorificato da Dio e vive e regna nel modo di essere di Dio, nello Spirito di Dio. Perciò a piena ragione Paolo può dire: «Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2Cor 3,17). E con ciò non s’intende soltanto una libertà dalla colpa, dalla legge e dalla morte, ma anche una libertà per l’agire, per una vita nella gratitudine, nella speranza e nella gioia. E ciò ad onta di tutte le carenze delle strutture e di tutti i tradimenti del singolo. Questo Spirito di libertà, in quanto Spirito del futuro, mi spinge in avanti: non nell’aldilà della consolazione, ma nel presente della prova. E poiché so che lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù Cristo, io ho anche un criterio concreto per saggiare e discernere gli spiriti. Dello Spirito di Dio non si può più abusare come di una forza divina oscura, senza nome e facilmente equivocabile. No, lo Spirito di Dio è con tutta chiarezza lo Spirito di Gesù Cristo. E ciò significa in modo del tutto concreto che né una gerarchia né una teologia e neppure un fanatismo che vogliano richiamarsi allo «Spirito Santo» oltre Gesù, possono requisire lo Spirito di Gesù Cristo. Qui hanno i loro limiti ogni ministero, ogni obbedienza, ogni partecipazione alla vita della teologia, della chiesa e della società. Credere nello Spirito Santo, nello Spirito di Gesù Cristo significa per me, anche di fronte ai molti movimenti carismatici e pneumatici: che lo Spirito non è mai una mia propria possibilità, ma è sempre forza, potenza, dono di Dio – da ricevere con fiducia incondizionata. Egli quindi non è un non santo spirito del tempo, della chiesa, del ministero o dell’entusiasmo; egli è sempre il Santo Spirito di Dio, che soffia dove e quando vuole, e non si lascia catturare da nessuno: come giustificazione di un potere assoluto di insegnamento e di governo, di infondate leggi dogmatiche della fede o anche di un fanatismo religioso e di una falsa sicurezza della fede. No, nessuno – né vescovo né professore, né parroco né laico – «possiede» lo Spirito, ma ognuno può invocare di continuo: «Vieni, Santo Spirito». Ma, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io posso, con buone ragioni, credere non certo nella chiesa, ma nello Spirito di Dio e di Gesù Cristo anche in questa chiesa, che è composta da uomini fallibili come lo sono anch’io. E, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io sono preservato dalla tentazione di staccarmi, rassegnato o cinico, dalla chiesa. Poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito io, nonostante tutto, posso dire in buona coscienza: credo la santa chiesa. Credo sanctam ecclesiam». [H. KUNG, Credo. La fede, la Chiesa e l’uomo contemporaneo (a cura di G. Moretto) Collana Osservatorio straniero, Milano, Rizzoli, 1994].

Preghiera

Spirito Santo, eterno Amore,
che sei dolce Luce che mi inondi e rischiari la notte del mio cuore;
Tu ci guidi qual mano di una mamma;
ma se Tu ci lasci non più d’un passo solo avanzeremo!
Tu sei lo spazio che l’essere mio circonda e in cui si cela.
Se m’abbandoni cado nell’abisso del nulla,
da dove all’esser mi chiamasti.
Tu a me vicino più di me stessa,
più intimo dell’intimo mio.
Eppur nessun Ti tocca o Ti comprende
e d’ogni nome infrangi le catene.
Spirito Santo, eterno Amore.

(S. Teresa Benedetta della Croce)



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