Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 37-40)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Commento
I primi due giorni di novembre sono dedicati alla contemplazione delle “cose di lassù” (cfr. Col 3,1), per riprendere un’espressione di san Paolo. In queste giornate la Chiesa ci invita a volgere lo sguardo verso l’eterno, ricordandoci che la nostra vita non si esaurisce nel tempo presente ma trova il suo compimento in Dio. Il 1° novembre celebriamo la Solennità di Tutti i Santi, festa di luce e di speranza, nella quale contempliamo la vita eterna dei beati, coloro che godono della piena comunione con Dio. Il giorno seguente, il 2 novembre, commemoriamo tutti i fedeli defunti, i nostri fratelli e sorelle che “ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace”. Alcuni di loro sono già partecipi della gloria dei santi, altri – pur salvati – si trovano ancora in una condizione di purificazione, in quello stato intermedio che la Tradizione della Chiesa chiama Purgatorio. Per queste anime nulla è più prezioso della preghiera di suffragio, specialmente attraverso la Santa Eucaristia, che rappresenta il dono più alto che possiamo offrire per il loro sollievo e la piena ammissione alla presenza di Dio. Nella Messa si attinge al tesoro inesauribile dei meriti della passione, morte e risurrezione di Cristo, uniti a quelli di Maria Santissima e dei Santi, affinché le anime possano essere pienamente perdonate e ammesse alla visione di Dio. Le due celebrazioni di questi giorni ci aiutano a guardare oltre ciò che è passeggero e terreno, per fissare lo sguardo su ciò che è eterno e permanente. Ci invitano a vivere la carità vera, non solo attraverso le opere di misericordia corporale – sempre fondamentali – ma anche con le opere di misericordia spirituale, tra le quali spicca l’ultima: “pregare per i vivi e per i morti”. La commemorazione dei defunti è anche un invito a rinnovare la nostra fede in Cristo Risorto e Vivente. La Rivelazione e l’insegnamento di Gesù ci assicurano che la morte non ha l’ultima parola: essa spetta alla vita, sempre. Dio ci ha creati per amarlo e servirlo in questa vita e per godere della sua presenza nell’eternità. La morte, pur essendo una realtà dolorosa e misteriosa, non è la condanna al nulla. È piuttosto la conseguenza del peccato originale, che ha spezzato l’unità psicofisica dell’essere umano. Tuttavia, Cristo – con la sua Parola e soprattutto con la sua Pasqua – ci ha rivelato che il Padre, nel suo disegno d’amore, vuole che nulla vada perduto (cfr. Gv 6,39). Gesù parla di noi, delle nostre anime, redente al prezzo del suo sangue e preziose ai suoi occhi. Questa promessa, però, riguarda non solo l’anima, riconosciuta da sempre come immortale, bensì anche il corpo. Questa nostra carne mortale, destinata alla corruzione del sepolcro, un giorno – per la potenza di Dio – risorgerà in Cristo Vivente. Questa certezza riempie il cuore di speranza: l’amore è più forte della morte, e la vita divina vince sempre. Chi crede in Cristo, chi si affida a Lui con fede, diventa partecipe della sua vita senza fine, e Egli stesso lo risusciterà nell’ultimo giorno (cfr. Gv 6,40). Ecco il cuore del cristianesimo: la fede in un Dio che è Vita, Amore e Risurrezione. I santi, i martiri, gli uomini e le donne di buona volontà non temono la morte, perché sanno che, con Cristo, essa diventa una Pasqua, un passaggio da questo mondo al Padre.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)
Anche se Gesù ha contrastato direttamente l’inclinazione umana a evitare la sofferenza e la morte, i suoi discepoli si resero conto che era meglio vivere la verità con occhi aperti che non vivere la loro vita nell’illusione. La sofferenza e la morte appartengono alla via stretta di Gesù. Gesù non le glorifica, né le dichiara belle, buone o qualcosa da desiderare. Gesù non chiama all’eroismo o al sacrificio suicida. No, Gesù ci invita a guardare la realtà della nostra esistenza, e ci rivela che questa dura realtà è la strada da percorrere per arrivare a una nuova vita. Il nucleo del messaggio di Gesù è che la gioia e la pace non si possono mai raggiungere aggirando la sofferenza e la morte, ma soltanto affrontandole con coraggio. Potremmo dire che in realtà, non abbiamo alcuna possibilità di scelta. Chi, infatti, sfugge alla sofferenza e alla morte? Eppure c’è ancora una scelta. Possiamo negare la realtà della vita, o possiamo affrontarla. Se la affrontiamo non da disperati, ma con gli occhi di Gesù, scopriamo che dove meno ce l’aspettiamo, è nascosto qualcosa che sostiene una promessa più forte della morte stessa. Gesù ha vissuto la sua vita con la sicurezza che l’amore di Dio è più forte della morte e che la morte non ha, quindi, l’ultima parola. Egli ci invita ad affrontare la realtà dolorosa della nostra esistenza con la stessa fiducia (H.J.M. NOUWEN, Preghiere dal silenzio, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003, 118).
Preghiera
Vieni tu da me, Signore, e allora io potrò venire da te. Portami a te e solo allora potrò seguirti. Donami il tuo cuore e solo così potrò amarti. Dammi la tua vita e allora potrò morire per te. Prendi nella tua resurrezione tutta la mia morte e sii mio, Signore, sii mio affinché io sia tua in eterno
(Silja Walter)
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