Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11,2-11)
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Commento
La terza domenica di Avvento, detta Gaudete, è segnata da una particolare connotazione di gioia. Non si tratta di un’emozione superficiale o di un ottimismo ingenuo, ma di una gioia che affonda le sue radici nella vicinanza di Dio. È il profeta Isaia, nella prima lettura, a descriverne il senso con immagini potenti: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”. Nulla è definitivamente perduto quando Dio si fa vicino. Persino i luoghi più aridi e inospitali — il deserto, la steppa — possono diventare spazio di vita, di fioritura, di gioia. E in fondo è proprio questa l’esperienza di tante nostre stagioni interiori: momenti in cui la vita appare sterile, stanca, senza slancio. L’Avvento, però, ci ricorda una verità decisiva: il Signore c’è, è vicino, si interessa di noi. Non siamo esclusi dalla speranza, nemmeno quando tutto sembra immobile. Anche Giovanni il Battista, nel brano evangelico, conosce l’esperienza del deserto e dell’oscurità. È in prigione, perseguitato per la verità e la giustizia. Eppure, proprio lì, riceve notizia che qualcosa di grande sta accadendo. Le opere parlano, la realtà interpella. Il suo cuore, onesto e libero, non si chiude: si interroga. Attraverso i suoi discepoli, Giovanni chiede di vedere chiaro. La sua domanda diventa anche la nostra: il nostro cuore è ancora capace di interrogarsi sulla presenza di Dio nella vita? Sappiamo lasciarci provocare dai segni della realtà? Ci interessa ancora riconoscere se Dio è all’opera, qui e ora? Gesù non risponde con una semplice affermazione o negazione. Rimanda ai fatti: qualcosa si muove, le promesse profetiche si compiono, i segni del Regno sono visibili. Chi non si chiude, chi non si irrigidisce nelle proprie attese, può riconoscere che il Messia è presente. «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo»: beato chi sa leggere i segni, chi lascia che la realtà lo conduca a Dio. È lì che si trova la vera felicità, il compimento della sete di senso. Gesù, poi, rende testimonianza alla grandezza di Giovanni. Non è una canna sbattuta dal vento: è uomo saldo, coerente, libero dalla paura. Non confida nei mezzi, nelle ricchezze, nelle sicurezze. È profeta, cioè voce di un Altro. È “vuoto” di sé perché colmo soltanto di Dio. La sua missione è quella di preparare la via, di farsi da parte, di sparire perché l’Atteso possa manifestarsi. E tuttavia, persino la sua grandezza resta poca cosa rispetto al compimento del Regno, alla signoria di Dio che viene, alla sua presenza che trasforma il deserto in giardino. È questa la gioia dell’Avvento: sapere che Dio è all’opera, anche quando i segni sono umili, anche quando la fioritura è ancora fragile.
Impegno di Avvento
Ogni giorno, riconosci e ringrazia per un segno della vicinanza di Dio, anche piccolo e discreto.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)
«Per noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall’incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile. L’esempio di una santa del nostro tempo può in qualche misura aiutarci a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e realmente questo Dio. Penso all’africana Giuseppina Bakhita, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II. Era nata nel 1869 circa – lei stessa non sapeva la data precisa – nel Darfur, in Sudan. All’età di nove anni fu rapita da trafficanti di schiavi, picchiata a sangue e venduta cinque volte sui mercati del Sudan. Da ultimo, come schiava si trovò al servizio della madre e della moglie di un generale e lì ogni giorno veniva fustigata fino al sangue; in conseguenza di ciò le rimasero per tutta la vita 144 cicatrici. Infine, nel 1882 fu comprata da un mercante italiano per il console italiano Callisto Legnani che, di fronte all’avanzata dei mahdisti, tornò in Italia. Qui, dopo “padroni” così terribili di cui fino a quel momento era stata proprietà, Bakhita venne a conoscere un “padrone” totalmente diverso – nel dialetto veneziano, che ora aveva imparato, chiamava “paron” il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. Fino ad allora aveva conosciuto solo padroni che la disprezzavano e la maltrattavano o, nel caso migliore, la consideravano una schiava utile. Ora, però, sentiva dire che esiste un “paron” al di sopra di tutti i padroni, il Signore di tutti i signori, e che questo Signore è buono, la bontà in persona. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei – anzi che Egli la amava. Anche lei era amata, e proprio dal “Paron” supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi. Lei era conosciuta e amata ed era attesa. Anzi, questo padrone aveva affrontato in prima persona il destino di essere picchiato e ora la aspettava “alla destra di Dio Padre”. Ora lei aveva “speranza” – non più solo la piccola speranza di trovare padroni meno crudeli, ma la grande speranza: io sono definitivamente amata e qualunque cosa accada – io sono attesa da questo Amore. E così la mia vita è buona. Mediante la conoscenza di questa speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio» (BENEDETTO XVI, Spe Salvi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2007, n.3).
Preghiera
«Beato chi non si scandalizzerà di me»: sostieni la nostra fede, Signore Gesù, quando è tentata di scandalizzarsi per la tua ‘debolezza’.
Donaci la convinzione e la sapienza che animava il tuo apostolo Giacomo: egli, che ben conosceva le grandiose promesse di Isaia, ha creduto che tu le hai realizzate, anche se nulla sembrava apparentemente cambiato nel mondo, dopo il tuo passaggio.
Dona anche a noi la pazienza dell’agricoltore, per seminare speranza.
Fa’ che accogliamo con riconoscenza il tuo vangelo di gioia, la buona notizia per i poveri e insegnandoci la pazienza; edifica in noi una fede forte.
Donaci la beatitudine di essere tuoi discepoli, la tua stessa gioia, la gioia del Padre nel fare del bene, anche quando ci toccasse di apparire perdenti.
Ravviva in noi la memoria dei benefici ricevuti, perché possiamo deciderci ancora oggi per il tuo vangelo e perché, anche quando non riconosciamo le tue vie, continuino come il Battista ad esserti fedeli, amen.
Lascia un commento