
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-12a)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Commento
La solennità odierna ci invita ad elevare lo sguardo verso il cielo, la dimora eterna, il posto che Gesù prepara per noi: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3). La santità cristiana rappresenta il compimento della vocazione battesimale: innestati in Cristo mediante il battesimo, se corrispondiamo con tutto noi stessi alla grazia ricevuta, giungiamo al posto che ci spetta nell’eternità con Lui. A cosa miriamo nella nostra vita? È questa la domanda che dovrebbe sorgere oggi dal nostro cuore. La cultura dalla quale siamo bombardati, specialmente mediante i social media, ci spinge alla ricerca della ricchezza, del potere, del successo, delle comodità e del piacere. Quando veniamo avvolti da questo vortice, anche se apparentemente sentiamo di essere appagati, in realtà ci riscopriamo infelici e pieni di vuoto. Quando la sofferenza, le contrarietà e l’imprevisto irrompono nella nostra vita, anche se possediamo il mondo intero, ci ritroviamo con in mano un pugno di mosche. Tutto ciò che il mondo propone non realizza in profondità la nostra umanità. Noi siamo creati “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,26) e questo significa che soltanto quando viviamo in pieno la nostra amicizia con Lui, siamo veramente uomini e donne realizzati, “capaci di Dio”. Il santo è colui che ha compreso questa chiamata, l’ha scelta e la vive. Questa adesione gli permette di sperimentare la felicità vera, quella che viene attribuita ai makarioi, i “beati” della pagina evangelica odierna, che secondo la cultura del mondo sono dei perdenti: poveri, afflitti, miti, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri, pacificatori, perseguitati. Quelli che nel libro dell’Apocalisse vengono descritti come “coloro che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Ap 7,14). Non è una felicità a buon mercato, ma un percorso che richiede il dono di sé, l’accettazione della Croce, nel sangue di Gesù. Un cammino di crescita costante, di superamento di se stessi, che non dipende però dallo sforzo moralistico, ma dalla disponibilità a lasciarsi trasformare dal dono divino della grazia in noi. Pensando a questo percorso di santità potremmo essere anche tentati dal dire: è troppo per me! Questa è una delle più grandi tentazioni! La santità, invece, è proprio per tutti, è – come dice il Concilio Vaticano II – una vocazione universale.

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