Caritas Veritatis

L'amore della Verità cerca l'ozio santo (Sant'Agostino)… blog di riflessioni, pensieri e condivisioni cristiane..


XVIII domenica del T.O./C: Un “io” senza Dio

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12,13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Commento

Il Vangelo di questa domenica ci porta nel cuore di una delle grandi illusioni del nostro tempo: quella secondo cui la sicurezza della vita dipende da ciò che si possiede. Un uomo si avvicina a Gesù con una richiesta apparentemente legittima: che il Maestro intervenga per dirimere una questione ereditaria. Ai tempi, i rabbini erano spesso interpellati per risolvere dispute familiari, eppure Gesù sorprende: si sottrae, prende le distanze e rifiuta di essere coinvolto. Qual è la ragione di questo atteggiamento di Gesù? Egli non si lascia strumentalizzare. Non è venuto per distribuire beni, ma per rivelare il Padre; non per soddisfare desideri materiali, ma per spalancare orizzonti eterni. Il Maestro coglie l’occasione per smascherare la radice più profonda del problema: non è questione di giustizia civile, ma di avidità del cuore. “Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (v. 15). È una parola profetica che taglia in profondità. L’uomo pensa di vivere meglio se possiede di più, ma Gesù ribalta la logica: la vera vita, quella che ha valore davanti a Dio, non si misura dalla quantità di beni accumulati, bensì dalla capacità di amare, condividere e donarsi. La parabola che segue specifica ancora meglio. Il protagonista è un uomo ricco, benedetto da un raccolto abbondante. Nulla di male, a prima vista. La benedizione non è peccato. Il problema nasce però nel cuore: quest’uomo non vede altro che se stesso. Il suo sguardo non è su Dio e gli altri, ma solo su se stesso. Non pensa a ringraziare, non condivide, non si interroga sul senso di quel dono. Pensa solo a sé, ai suoi magazzini, al suo futuro, al suo piacere: “mangia, bevi, godi”. È vittima di un edonismo autoreferenziale che chiude la vita in un orizzonte angusto e sterile, che oggi è molto diffuso, anche in noi e nel modo di pensare della nostra epoca. Il monologo del ricco è rivelatore: usa sempre la prima persona – “io, i miei raccolti, i miei magazzini, la mia anima”. Non c’è spazio per Dio né per gli altri. Il suo errore è nel non riconoscere e nel non condividere. È un cuore isolato, che misura tutto secondo criteri mondani, e che dimentica la dimensione ultima dell’esistenza: la morte, che può arrivare “questa notte” (v. 20), quando meno lo si aspetta. Alla fine, Dio lo chiama “stolto”, perché ha vissuto senza sapienza, come se fosse padrone della propria vita, come se potesse garantirsi l’eternità con i beni della terra. La conclusione è una sentenza che interpella ciascuno di noi: “Così è di chi accumula tesori per sé, e non si arricchisce davanti a Dio”. Viviamo, molte volte, come quell’uomo. Non riconosciamo i doni ricevuti. Non ci chiediamo da Chi e per chi ci siano stati dati. Accumuliamo, rincorriamo sicurezze materiali, trascurando ciò che conta davvero: la relazione con Dio, la capacità di amare, di servire, di guardare oltre noi stessi. Arricchirsi davanti a Dio significa abitare la vita come responsabili di un dono, non come padroni. Significa apertura, gratitudine, libertà interiore, costruire relazioni fondate non sul profitto ma sulla comunione, sul dono, sul Vangelo. In un mondo dominato dalla logica del profitto, questa parola di Gesù è più che mai necessaria: ci invita a fare un esame di coscienza radicale sull’economia del nostro cuore. Cosa ammassiamo? Dove cerchiamo sicurezza? Cosa lasciamo quando ce ne andremo? Sappiamo che non siamo eterni? Che lo Spirito ci conceda la grazia di essere ricchi davanti a Dio, e poveri di tutto ciò che ci rende ciechi al dono e sordi all’amore.

Bene-dire (a cura di Mons. Francesco Diano)

Morrie aveva sempre gustato i piaceri semplici della vita: cantare, ridere, ballare. Ora, ancor, più di prima, i beni materiali significavano poco o nulla per lui. Quando qualcuno muore, si sente spesso l’espressione: “Non puoi portarlo con te”. Sembrava che Morrie l’avesse sempre saputo. “In questo Paese subiamo una specie di lavaggio del cervello perpetuo”, sospirò Morrie. Sai come fanno a lavare il cervello alla gente? Ti ripetono qualcosa in continuazione. Qui da noi facciamo così. Possedere delle cose è bello. Avere più denaro è bello. Avere più proprietà è bello. Più affarismo è bello. Più è bello. Più è bello. Noi lo ripetiamo – e ce lo ripetono – ancora e ancora fino a quando nessuno si preoccupa più neanche di pensare in modo diverso. Il cittadino comune è talmente confuso da tutto questo da non avere più la minima capacità di discernere ciò che è davvero importante. Dovunque sia stato nella mia vita ho conosciuto persone che volevano arraffare qualcosa di nuovo. Una macchina nuova. Una nuova casa. L’ultimissimo tipo di giocattolo. E poi volevano parlartene. ‘Indovina che cos’ho? Indovina che cos’ho? Sai come ho sempre interpretato questo fenomeno? Si trattava di persone così affamate d’affetto che si accontentavano di sostituti. Accettavano beni materiali e si aspettavano qualcosa in cambio. Ma non funziona mai così. Non si possono sostituire amore, gentilezza, tenerezza o amicizia con cose materiali. Il denaro non può sostituire la tenerezza e neanche il potere può sostituirla. Te lo posso dire io, mentre sta arrivando la fine, che nel momento del maggior bisogno né il denaro né il potere – per quanto tu possa averne – ti possono dare la soddisfazione che cerchi (M. ALBOM, I miei martedì col professore, Milano, Rizzoli, 2006, 129-130).

Preghiera

O Dio, nostra forza e nostra speranza,  senza di te tutto è vanità. Fa’ che ti amiamo in ogni cosa e sopra ogni cosa, perché tu solo sei il bene vero  che supera ogni desiderio. Per Cristo nostro Signore.



Una replica a “XVIII domenica del T.O./C: Un “io” senza Dio”

  1. “Il suo sguardo non è su Dio e gli altri, ma solo su se stesso. Non pensa a ringraziare, non condivide, non si interroga sul senso di quel dono. Pensa solo a sé, ai suoi magazzini, al suo futuro, al suo piacere: “mangia, bevi, godi”… Arricchirsi davanti a Dio significa abitare la vita come responsabili di un dono, non come padroni. Significa apertura, gratitudine, libertà interiore.”

    Grazie, Don Luciano, per averci guidato ad arricchirci davanti a Dio.

    – Samy

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