Caritas Veritatis

L'amore della Verità cerca l'ozio santo (Sant'Agostino)… blog di riflessioni, pensieri e condivisioni cristiane..


V domenica di Pasqua/B: potature necessarie

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Commento

In questo passo del grande discorso di addio (cc. 13-17), che l’evangelista Giovanni pone sulle labbra di Gesù la sera del giovedì santo, prima di offrire la sua vita sulla croce, il Maestro rivela la sua identità mediante l’immagine della pianta di vite. Egli usa una qualificazione per la vite, definendola come la “vera” vite, quella che realizza in pieno il suo scopo: generare frutto abbondante. Gesù è pronto a dare la vita e “venire potato” Egli stesso dal Padre sulla croce, perché si compia la sua volontà. Mantenendo questa totale dipendenza e resa alla volontà del Padre, Gesù si paragona alla vite che viene curata dall’agricoltore, come sua proprietà e oggetto di speciale attenzione. La vite e i tralci sono un tutt’uno, perché è attraverso di essi che il frutto cresce e produce i grappoli maturi pronti per la raccolta. Perché la vite mantenga il suo vigore e fecondità, bisogna però che si eliminino i rami infruttuosi, che portano morte e inerzia, ma nello stesso tempo si potino anche quelli fruttuosi, perché portino un frutto maggiore. Come discepoli, in virtù del battesimo e degli altri sacramenti della fede, noi siamo i tralci di questa vite. Perché possiamo ricevere la sua vita divina in noi, è assolutamente necessario che rimaniamo in Lui, stringendoci al Maestro e conservando il nostro contatto umile e stabile con Lui. La fruttuosità della nostra testimonianza cristiana dipende dalla qualità della nostra dipendenza da Lui. “Rimanere” significa fuggire ogni tentazione di fare di testa nostra, di sottrarci all’azione purificatrice della sua parola che “ci pota” sempre di nuovo, non per piacere nel vederci soffrire, ma perché un frutto maggiore venga prodotto in noi. La paura del dolore della potatura non deve distoglierci mai dalla gioia del rimanere nel suo Amore. La donna incinta è pronta ad affrontare il dolore del parto, perché sa che sta portando al mondo la vita. Allo stesso modo accade per il nostro rimanere in Cristo. A volte la vita può essere davvero dura, specialmente quando si è sotto i colpi della potatura, ossia l’eliminazione di quelle parti superflue e dannose che potrebbero inficiare la fruttuosità della nostra esistenza. Sappiamo però che l’accettazione di questa opera di Dio in noi è sempre finalizzata ad un bene maggiore. La verità di questa promessa sta tutta nella generosità dell’amore di Cristo, che per la gloria del Padre, desidera che il nostro essere discepoli renda ricca e feconda la vite della Chiesa.

Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)

Da ragazzo, all’età delle medie e delle superiori, ogni giorno per andare a scuola, all’andata come al ritorno, dovevo camminare mezz’ora tra le vigne, unica visione per i miei occhi sotto il cielo, unico scenario per i miei pensieri e le mie apprensioni scolastiche. Così ho imparato a conoscerle, a osservare i loro cambiamenti, ad amarle. La mia terra è tutta vigne, solo qua e là, ai bordi delle strade, un canneto che forniva i sostegni per le viti in quegli ordinati filari che segnavano i diversi anfiteatri collinari e sembravano sfidare la pendenza dei bricchi: filari disposti come oggetti preziosi in un’esposizione, ciascuno scostato dall’altro quel tanto necessario per essere visto e baciato dal sole. D’inverno le vigne appaiono desolate, solo ceppi che con le loro torsioni sembrano ribellarsi all’ordine severo dei filari: le diresti morte, soprattutto quando lo scuro del vitigno si staglia sul bianco della neve, assecondando quel silenzio muto dell’inverno in cui persino il sole fatica a imporsi tra le nebbie del mattino. Eppure, anche in questa stagione morta, i contadini non cessano di visitare la vigna e si dedicano a quel lavoro sapiente di potatura che richiede un affinato discernimento. Si tratta, infatti, di mondarla, tagliando alcuni tralci e lasciando quelli che promettono maggiore fecondità: sacrificarne alcuni, che magari tanto hanno già dato, per il bene della pianta intera, rinunciare a un tutto ipotetico per avere il meglio possibile. Bisogna osservarli i vignaioli quando potano, mentre il freddo arrossa il naso e le guance; bisogna vedere come prendono in mano il tralcio, come i loro occhi scrutano e contano le gemme, come con le pinze danno un colpo secco che recide il tralcio con un suono che echeggia in tutta la vigna: un taglio che sembra un colpo di grazia spietato al culmine di una sentenza e che invece è colpo di grazia perché apre un futuro fecondo. E lì, dove la ferita vitale ha colpito la vigna, proprio li, ai primi tepori, la vite «piange», versando lacrime da quel tralcio potato per un bene più grande. Curare la vigna è come curare la vita, la propria vita, attraverso potature e anche pianti, in attesa della stagione della pienezza: per questo la potatura è un’operazione che il contadino fa quasi parlando alla vite, come se le chiedesse di capire quel gesto che capire ancora non può (E. BIANCHI, Il pane di ieri, Torino, Einaudi, 2008, 53-54).

Preghiera

O Padre, celeste vignaiolo che hai piantato sulla nostra terra la tua vite scelta – il santo germoglio della stirpe di David – e compi il tuo lavoro in ogni stagione. Fa’ che accettiamo le potature di primavera, anche se, teneri tralci, gemiamo trasudando lacrime sotto i colpi decisi delle tue cesoie. Vieni pure a mondarci nel culmine della stagione estiva, perché i viticci superflui non sottraggano linfa vitale al grappolo che deve maturare. Frutto della nostra vita sia l’amore, quel «più grande amore» che dal tuo cuore, attraverso il cuore di Cristo, con flusso inesauribile si riversa in noi. E tutti gli uomini, fratelli no-stri nel tuo nome, ne siano ricolmati, con spirito di dolcezza, di gioia e di pace. Amen



Una replica a “V domenica di Pasqua/B: potature necessarie”

  1. “La vite e i tralci sono un tutt’uno, perché è attraverso di essi che il frutto cresce e produce i grappoli maturi pronti per la raccolta… La fruttuosità della nostra testimonianza cristiana dipende dalla qualità della nostra dipendenza da Lui.”

    Grazie don Luciano che ci aiuti a rimanere in Gesù e portare i frutti in abbondanza attraverso la nostra vita di testimonianza. Che grande responsabilità!
    -Samy

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