L’uomo e la virtù: 5. La Temperanza

di Rocco De Pietro

temperanza

N. Gerini, La temperanza (part.), Volta con virtù, Sala capitolare di S. Felicita, Firenze, sec. XIV.

Anche la temperanza, come le altre virtù cardinali, ha occupato una lunga tradizione filosofica che parte da Platone, attraverso Aristotele, lo Stoicismo e la Patristica, sino a Tommaso d’Aquino. Essa è virtù che opera sulle turbolenze passionali strettamente attinenti alla sfera della umana concupiscenza, cui troviamo riferimenti nell’Antico Testamento: “non seguite la carne nei suoi desideri” (Sal 26). Come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, “La temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore” (n. 1809)

Sin dall’antichità l’iconografia riferita alla Temperanza offre indicazioni visive che efficacemente la esprimono, rappresentandola come una donna con due brocche, una contenete vino gustoso ed invitante e l’altra acqua: la mescolanza dell’acqua al vino consente di moderare la fonte del piacere, evitarne eccessi e le conseguenze  inebrianti e svianti; l’acqua ricorre ancora insieme al fuoco, come elemento che possa contenere e limitare la diffusività devastatrice del rogo, mentre la frusta e le redini, che pure appaiono in mano alla donna-Temperanza, simboleggiano rispettivamente lo stimolo ed il necessario freno, per far tenere all’andatura  il coretto equilibrio.

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Giovanni Andrea De Ferrari, La temperanza, Palazzo Doria-Tursi, Genova, XVI sec.

Dunque si tratta della virtù del “giusto mezzo”, dell’equilibrio, che possiamo attuare mediante la “ragione”, nel calmierare, moderare, contenere, tutte quelle passioni che derivano dal nostro istinto naturale di uomini, quali “animali razionali”, come momento di riflessione e di controllo razionale sull’impulso dei sensi. Al pari delle altre virtù cardinali, anche la Temperanza si raggiunge con l’esercizio quotidiano. San Pietro ci ricorda: “mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza” (2Pt 1,5). Il buon esercizio quotidiano di questa virtù, conferisce la capacità di “distingue fra ciò che è “natura” dell’uomo e ciò che è vizio di questa natura” (A. Rosmini). Alcuni definiscono, a torto ed in modo infelice, la Temperanza come la meno “importante” tra le virtù, forviati forse dal fatto che essa è, tra le altre, quella che, mancando, incide negativamente su noi stessi e meno sugli altri. Prudenza, Giustizia e Fortezza riguardano maggiormente la nostra relazione con “l’altro”, mentre la Temperanza è padronanza di se che ci insegna la disciplina su noi stessi, a contenere i nostri eccessi, il rapporto tra “noi” e i “nostri piaceri” e che controlla la tendenza al “piacere sensibile”. Ma quale virtù può essere più appropriata e utile se non la Temperanza nella società attuale, sovrabbondante di piaceri, di possesso e del “tutto e subito”, che solo apparentemente offrono appagamento ai nostri bisogni e desideri? Nel turbinio vorace della mondanità contemporanea, tutto è caratterizzato dall’opulenza, dal “tutto mi è lecito”, dalla “dominazione tecnologica”, dalla corsa alle “emozioni distruttive”, dalla sessualità che da tabuistica del passato è divenuta ora permissivo-consumistica, il superfluo e l’inutile ci viene propinato come indispensabile e tutto il soprappiù, di cui smaniamo disporre, non ci appaga mai abbastanza. Questa nostra bramosia rispecchia quel vino iconografico traviante che ci inebria solo per qualche ora, per poi lasciarci storditi e disorientati, quella frusta che stimola e velocizza il nostro incedere vorticoso verso traguardi fatui, quel fuoco che si propaga incontrollato lasciando attorno a noi solo fuliggine desolante. E se, come afferma Paul Valery, “la parola virtù è morta o, almeno, sta morendo. Non la si pronunzia più” (Variété, Oeuvres, I, Parigi, 1957, p. 940), riscoprire e rivitalizzare l’esercizio della Temperanza, oggi più che mai, può farci scoprire il senso profondo dell’essenziale, per un ritrovato rapporto con Dio, con noi stessi e con gli altri.

Nella prossima puntata vedremo come la vita della Grazia si inserisce nella vita morale dell’uomo….

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