Fides: 7. Verrà a giudicare i vivi e i morti

Venturus est iudicare vivos et mortuos

di don Emanuele Spagnolo

15253596_1151535034899678_9017723115124293070_n.jpgPochi argomenti come la fine del mondo hanno suscitato, nel cuore e nella fantasia dell’uomo, una tale quantità di immagini, scenari e descrizioni che, il più delle volte, hanno tonalità apocalittiche e spettacolari. Talvolta però ignoriamo una constatazione tanto scontata quanto importante: tutto finirà. Noi, il nostro tempo, il nostro mondo. Anche se ignoriamo il tempo e il modo, sappiamo che la storia, questa grande storia di cui facciamo parte e di cui sappiamo essere un infinitesimale tassello incastonato nel più grande mosaico un giorno cesserà la sua corsa. Ma come? È la grande domanda che forse, un po’ tutti, ci siamo fatti almeno una volta. Il Simbolo, proprio perché tale, “unisce, mette insieme, riunisce sapientemente” i pezzi di questa storia, e ci dice la Parola, il Verbo, che “in principio era Dio e attraverso cui tutto è stato fatto” (cfr. Gv 1) chiuderà personalmente questo pellegrinaggio, “giudicando i vivi e i morti”. Una prima indicazione: la nostra storia e la storia del mondo non entrerà anonimamente nel nulla, o non si spegnerà improvvisamente perchè inghiottita dal buio. Alla fine, una presenza; la stessa presenza amorosa che ha abitato i solchi di questa storia umana, sporcandosi i piedi calpestando la nostra terra e stringendo mani, toccando malattie e sedendo a mense. Il Gesù esperto di semi e di campi, che cantava storie di vigne, di contadini e di pastori, uomo di parabole esigenti e di amore ai nemici. Alla fine, chi ci ha insegnato la misericordia e il perdono, rendendolo visibile e toccabile “fuori dalle mura della città”  (cfr. Eb 13,12) appeso ad una croce, sarà Lui a giudicarci. Di qui il tema del giudizio fa meno paura, e assume significati realmente umani e cristiani. La Risurrezione ha riempito di luce ogni atomo della storia; niente è rimasto indenne da questo grande evento di Grazia da quel giorno ad oggi, e così sarà sino alla fine. Per questo già viviamo, oggi, il giudizio di cui parla il Simbolo. Anzitutto di fronte alla Parola, che nella lettura quotidiana ci mette di fronte alla povertà dei nostri propositi e delle nostre intenzioni, e ci rende umili. Siamo continuamente giudicati da questa Parola, e spronati ad attuare processi di conversione, consapevoli però che non è priva di Misericordia, ma anzi ne è testimone. Siamo poi giudicati dalla Comunità, in cui vediamo grandi e belle testimonianze di eroico amore cristiano, che desideriamo imitare. Siamo giudicati continuamente dai fratelli, vicini e lontani, quando vediamo povertà, fame, violenza, ingiustizia. Il dolore innocente ci giudica continuamente, e ci mette di fronte alla nostra indifferenza.  D’altra parte, strettamente legato e in continuità a questo giudizio attuale, vi sarà alla fine dei tempi, nell’ultimo atto, un giudizio finale. Il Signore Gesù rivelerà a noi stessi ciò che in realtà già siamo e viviamo oggi, nel quotidiano . “Il giudizio – afferma il teologo de la Pena – è il disvelamento della posizione presa nella storia di fronte a Cristo. La possibilità di essere riconosciuti nel giudizio dal Cristo futuro dipende dal riconoscere già ora il Cristo presente nei fratelli” (L’altra dimensione, 184). Ma come ben sappiamo di fronte al Signore la fede svanirà perché divenuta visione, e come dice San Giovanni della Croce, “saremo giudicati sull’amore”.

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Il giorno del giudizio, affresco, sec. XV, Monastero Bucovina, Romania

Ma vi è un altro aspetto importante da sottolineare. Se alla fine della storia Dio porterà a compimento quello che siamo, rovesciando il ricamo della nostra storia, che ne sarà di chi per violenza, ingiustizia o egoismo, è stato privato del suo presente? I bimbi mai nati, i giovanissimi arruolati negli eserciti della morte, i disabili vissuti nell’incoscienza, gli uomini e le donne privati di ogni diritto e vissuti nell’olocausto continuo dello sfruttamento: dove e in che modo la loro vita troverà compimento? Sappiamo e speriamo che questo giudizio, se da un lato potrebbe essere buio eterno, dall’altro sarà di certo luce e gioia indicibile. Sarà riscatto. Sarà il tempo in cui Dio stesso restituirà agli afflitti, ai poveri, agli sfruttati, la gioia di una vita eterna piena di amore, quell’amore che su questa terra non hanno ricevuto. Così il teologo Moltmann: “Io immagino lo Spirito della vita eterna come un vasto ambito vitale, al cui interno la vita spezzata, impedita e distrutta può svilupparsi in tutta libertà. Io immagino che la vita eterna conceda spazio, tempo e forza a tutti gli affranti, impediti, compromessi, perché possano finalmente vivere quella vita cui erano destinati ed alla quale sono stati generati. E lo credo non per ragioni morali, ma per giustizia, convinto che si tratti di una causa propria di Dio” (L’avvento di Dio, 136-137).

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