Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Breve commento
Il poeta latino Orazio in uno dei suoi componimenti poetici scriveva “Non omnis moriar” (non morirò interamente) (Odi III, 30, 6), forse riferendosi alla sua opera poetica, che avrebbe permesso ai posteri di ricordarlo. Da pagano qual era, naturalmente, non poteva riferirsi alla risurrezione, non avendo ancora conosciuto il cristianesimo, ma questa espressione sembra contenere in sè uno di quelli che la Tradizione della Chiesa, ripresa dal Concilio Vaticano II, ha chiamato “semina verbi”, semi del Verbo, barlumi di verità, che si trovano al di fuori della rivelazione cristiana. Questo slancio quasi profetico del poeta latino ci aiuta bene a comprendere il senso del Vangelo di questa domenica. Gesù, nel discorso della montagna, il primo dei cinque attorno ai quali è costruito il Vangelo di Matteo, subito dopo le Beatitudini (Mt 5, 1-12), ci dona queste due perle del suo insegnamento. Come discepoli, siamo chiamati a non morire del tutto, volendo parafrasare le parole di Orazio. E questo per noi è vero in due sensi: anzitutto perchè in virtù della risurrezione di Cristo siamo chiamati all’eternità, ad una vita senza fine, ma anche perchè l’eternità si va preparando su questa terra con una testimonianza che lascia il segno. Un vero discepolo di Cristo, nel suo cammino verso la vera vita, se vive coerentemente quanto il Vangelo chiede, non può non lasciare il segno. E questo lo vediamo in modo evidente nelle vite dei santi, coloro che hanno vissuto la “misura alta della vita cristiana” (cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 31), ma ancora di più in Colei che è la Tutta Santa, la Vergine Maria, sulla cui bocca, Luca mette le parole del Magnificat: “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1,48). In un tempo in cui la mediocrità, purtroppo, fa da padrona, in tutti gli ambiti, Gesù ci invita ad essere sale, ossia ciò che dà sapore alle cose. In un cibo ben preparato, è quasi sempre impossibile vedere il sale, ma il suo sapore è sempre facilmente percepibile. Questa è la vocazione dei discepoli di Gesù: spesso sono una minoranza, in ambienti e circostanze ostili, ma non per questo sono incapaci di offrire una testimonianza significativa e rivoluzionaria, con la forza che viene loro dal Vangelo. Del resto Gesù stesso lo ha detto: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (Lc 12,32), come anche quando ha usato altre immagini, quali quella del lievito che pur essendo in piccola quantità, fa fermentare tutta la massa (cfr. Mt 13,33; Lc 13, 20-21). La vera sfida, dunque, non è quella di raggiungere grandi numeri, quanto quella di essere una presenza significativa nel mondo e nei luoghi dove si è chiamati ad agire. Perdere il sapore del sale, infatti, significherebbe perdere valore, diventare insipidi, quindi cadere nell’insignificanza, senza poter dare un contribuito significativo all’ambiente in cui la Provvidenza ci pone a rendere testimonianza. Accanto all’immagine del sale, poi, Gesù presenta quella della luce: la testimonianza dei discepoli, proprio come una luce che squarcia le tenebre, non può rimanere nell’ombra, ma deve divenire segno per tutti. La luce della fede, ricevuta in dono nel battesimo, che non a caso dai santi Padri era detto anche “illuminazione”, non è qualcosa da tenere per sè, nascosta e ben chiusa nel cassetto della propria intimità, ma deve piuttosto divenire segno efficace della presenza di Dio nel mondo. San Paolo, scrivendo ai Filippesi, dice: “Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (Fil 2,14-16). Questo significa essere luce: suscitare con la propria testimonianza, spesso silenziosa e discreta, ma non per questo meno eloquente, l’interesse e lo stupore da parte degli altri, facendo sorgere la domanda: perchè agiscono così? In questo modo il cristiano può divenire veramente segno nel mondo per condurre i fratelli a Dio, che è il vero fine di tale testimonianza. Gli altri, infatti, e lo dice chiaramente Gesù nell’ultima espressione del brano evangelico, vedendo le opere della luce dei discepoli, non devono rendere gloria a loro, ma a Dio, il Padre che è nei cieli. Troppo spesso, purtroppo, le nostre opere, se non hanno questa trasparenza e questo profondo distacco dal nostro orgoglio, possono diventare un ostacolo al cammino dei fratelli verso Dio. Non dovremmo mai dimenticare, infatti, che il vero discepolo, come Giovanni il Battista, non agisce bene per se-durre (portare a sè) gli altri, ma per con-durre (portare con sè) ad un Altro, il Padre che sta nei cieli.