“Umile e alta più che creatura”: Dante canta Maria

7._bartolomeo_caporali_le_frecce_rotte_sul_manto_della_madonna-441x445Maria, la Madre di Gesù, cui è dedicato in modo particolare il mese di maggio, è stata ed è tuttora ispiratrice di stupende pagine di poesia e di letteratura, sia tra i credenti che tra i non credenti. La ragione di tale fascino sta nel fatto che Ella “è una figura storica che, per la concentrazione di bellezza e di significato che si realizza nella sua persona, assurge a simbolo, mito e archetipo” (F. Castelli, Maria ispiratrice di letteratura, in «La civiltà cattolica», 149 (vol.3/1998) 3555, 213). È per questo motivo che su di Lei si polarizza l’attenzione di quanti sono particolarmente attenti al tema della bellezza e al richiamo dell’Alto, cioè degli artisti. Maria è essenzialmente la Madre della bellezza, dunque anche Madre della poesia. Gregorio Palamas descrive la bellezza della Vergine di Nazaret in questi termini: “Volendo creare un’immagine della bellezza assoluta e manifestare chiaramente agli angeli e agli uomini la potenza della sua arte, Dio ha fatto veramente Maria tutta bella. Egli ha riunito in lei le bellezze particolari distribuite alle altre creature e l’ha costituita come comune ornamento di tutti gli esseri visibili e invisibili; o piuttosto ha fatto di lei come una sintesi di tutte le perfezioni divine, angeliche e umane, una bellezza sublime che abbellisce i due mondi, che si eleva dalla terra fino al cielo e che sorpassa anche quest’ultimo” (Gregorio Palamas, In Dormitionem, PG 151, 468 AB).

A circa un anno di distanza dalle celebrazioni del 2021, che ricorderanno il 700° antes-740x555-largeanniversario dalla morte di Dante Alighieri avvenuta nel 1321, sembra quanto mai opportuno iniziare questo mese di maggio 2020, presentando alcuni elementi della sua poesia di ispirazione mariana, che oltre ad essere un capolavoro estetico assoluto, ci fanno contemplare Maria con una profondità teologica e una freschezza spirituale sempre attuali. Guardando allo specifico delle opere di Dante Alighieri, troviamo riferimenti sparsi qua e là negli scritti minori, in particolare nella Vita Nuova, come anche nel Convivio e nelle Epistole. La maggior parte dei riferimenti mariani, però si trovano nella Divina Commedia. I richiami a Maria, iniziando quasi sottovoce nella prima cantica, l’Inferno, diventano man mano più insistenti nel Purgatorio, per sfociare poi nel culmine della poesia al termine del Paradiso. Nel canto II dell’Inferno Dante attribuisce un ruolo di preminenza alla Vergine, la quale dal Paradiso invia Santa Lucia presso Beatrice, che, a sua volta, scende a liberare il poeta dalla “selva oscura”. Nel canto III del Purgatorio, il Poeta pone sulla bocca di Virgilio un invito alla moderazione, nel quale l’uomo è invitato a riflettere sull’infinita trascendenza di Dio, Uno e Trino, rispetto alla piccolezza della sua ragione (Cfr. Purgatorio, III, 34-39). Proprio a causa di questa piccolezza e miseria dell’uomo, Cristo si è incarnato nel seno della Beata Vergine Maria. Numerosi sono i riferimenti a Maria anche in altri canti del Purgatorio e del Paradiso, che per ragioni di brevità, non si possono esaminare in questa sede. Il culmine della poesia mariana dantesca, però, si incontra proprio nei canti finali del Paradiso. Nel canto XXIII, ad esempio, troviamo la celebre definizione di Maria come “rosa mistica”: “Quivi è la rosa in che il Verbo divino carne si fece…” (Cfr. Paradiso, XXIII, 73-74). Nel medesimo canto, Ella è “viva stella”, “donna del ciel”, “Coronata fiamma” e “Regina coeli” (Cfr. Paradiso, XXIII, 92.106.119.128). Altri riferimenti si riscontrano nel canto XXXII, dove il volto di Maria è considerato dal poeta come il più vicino a quello del Figlio (Cfr. Paradiso, XXXII, 85-86).

Il capolavoro indiscusso della produzione mariana di Dante, però, resta il celeberrimo canto XXXIII del Paradiso, testo ricco di bellezza poetica e di alto contenuto teologico, tanto da essere stato anche assunto dalla Chiesa italiana come Inno della Liturgia delle Ore nel Comune della Beata Vergine Maria. Il protagonista della parte iniziale del canto è San Bernardo di Chiaravalle, abate e dottore della Chiesa del XII secolo, celeberrimo cantore di Maria. Dante pone sulla bocca del santo una supplica alla Vergine affinché Ella conceda a Dante, pellegrino nell’oltretomba, di risalire a contemplare la Trinità. La preghiera inizia con tono solenne e supplice:

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura (vv. 1-6)

Nella prima terzina si trova una triplice coppia di antitesi riferite a Maria. Ella è Vergine, ma nello stesso tempo è Madre. È figlia di Dio, che si è fatto suo Figlio, è umile, ma contemporaneamente alta più di tutte le creature. In Lei si può contemplare come elementi antitetici creino armonia e come la natura umana si fonda col divino. In tale intreccio di elementi si crea una della più grandi pagine della letteratura di ogni tempo (Cfr. F. Castelli, Maria ispiratrice di letteratura, 149). Queste antitesi sono proprio costruite sull’assunzione di un elemento di dottrina dogmatica per farne simbolo del rapporto tra l’umano e il divino, come per esempio nel dire che “a tanta umiltà si aggiunge altrettanta magnificenza nel segreto del cuore virgineo (al celebre verso «umile e alta più che creatura» fa riscontro l’espressione di Bernardo: «Tantae humilitati magnificentia tanta in secretario virginei cordis accessit»)” (S. Battaglia, Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante, Liguori, Napoli 1967, pp. 201-208). La Vergine, inoltre, ha nobilitato la natura umana in modo da renderla di una dignità molto superiore di quanto si possa credere, ponendo Dio e l’uomo in comunione profondissima, cosicché lo stesso Creatore può essere riconosciuto per mezzo della creatura. 

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace (vv. 7-12).

Nel seno purissimo della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo, senza concorso d’uomo è stato generato Cristo, il Figlio di Dio. Per mezzo dell’amore di Cristo comunicato a sua Madre, è nato il fiore del Paradiso, la candida rosa dei beati che sono così disposti intorno al trono di Dio. Per coloro che godono già della visio Dei, Maria è espressione della carità realizzata, di come una creatura può corrispondere all’amore di Dio, giù invece, tra gli uomini mortali ancora sulla terra, Maria è segno sicuro di speranza. Sembra di leggervi in anticipo le parole del Concilio Vaticano II: “La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10)” (Lumen Gentium, 68). Guardando a Lei gli uomini comprendono che salvarsi e realizzare la volontà di Dio è cosa possibile.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre (vv. 13-18)

Continuando nella sua preghiera, Bernardo elogia Maria per la grandissima potenza che la sua intercessione possiede al cospetto della Trinità. Ella è così grande e piena di potenza presso Dio che, chiunque avesse bisogno di una grazia da Dio e non ricorresse a Lei, non potrebbe essere esaudito, quasi come qualcuno che si azzardasse a volare senza le ali. La Vergine è Domina, ha le stesse prerogative del Figlio, il Dominus: è Avvocata degli uomini presso Dio, proprio come “l’avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto” (1Gv 2,1) e come lo Spirito Santo, detto Paraclito, ossia – appunto – colui che assiste una causa in tribunale. Maria è così sollecita verso gli uomini, tanto che con la sua benevolenza non solo soccorre chi la invoca, ma molto spesso liberamente concede grazie agli uomini, anche se questi non l’hanno ancora invocata. Dante sembra avere in mente la stupenda pagina evangelica delle Nozze di Cana, dove Maria si rende sollecita verso i bisogni dell’umanità, privata della gioia della festa (cfr. Gv 2, 1-11).

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate (vv. 19-21)

La Beata Maria è icona della Chiesa, come si dice nel linguaggio teologico, per il fatto che essa rappresenta ogni uomo realizzato secondo il disegno redentivo di Dio. In lei si trova compiuto tutto ciò che esiste di buono nell’umanità. È per questo che Dante le attribuisce la misericordia, la pietà e la generosità, attitudini e virtù tipiche di una grande anima, della donna perfetta, capolavoro della grazia divina.

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!» (vv. 22-39).

Beato_Angelico_Incoronazione_della_Vergine-1190x1200Infine, dopo il momento della lode, troviamo la richiesta che Bernardo porge alla Vergine in nome di Dante. Egli, dopo aver percorso tutte le strade dell’oltretomba e dopo aver incontrato le anime dannate, le purganti e le beate, ha bisogno dell’aiuto della Vergine nell’alzare lo sguardo verso Dio. È in questo che consiste il compimento del cammino di redenzione, che sfocia nella beatitudine. Affinché Dante giunga a tale visione, è necessario, però, che venga tolta dalla sua persona con la grazia di Dio ogni traccia della natura mortale che porta in sé, in modo che il volto della Trinità possa svelarsi a lui, conducendolo alla massima realizzazione del desiderio dell’anima. È probabile che se Dante fosse stato da solo davanti a Dio, si sarebbe fermato a questa domanda, quella cioè di vedere Dio. Secondo la tradizione biblica, nessun uomo può vedere Dio rimanendo in vita, si pensi a Mosè che nell’Esodo può soltanto contemplare le spalle di Dio, ma non il suo volto, in quanto come dice la stessa Scrittura, se vedesse il volto di Dio morirebbe (Cfr. Es 33,20). Tenendo presente tutto ciò, Bernardo, chiede alla Regina coeli di mantenere attivi i sensi e la coscienza di Dante, anche dopo una sì grande visione (Cfr. A. Brasioli, La Commedia di Dante, Atlas, Torino 2004, p. 689). La preghiera, quindi, si conclude invocando da Maria la grazia di rendere Dante immune dalle passioni umane nel momento della contemplazione del volto di Dio, così da evitare che egli ceda a causa della paura. Per confermare tali propositi Bernardo invita Maria a guardare a quanti tra i santi del Paradiso stanno intercedendo insieme a Lei, nella comunione dei santi.

In conclusione, dopo questo breve viaggio nella poesia dantesca, vero concentrato di teologia e lirica, proprio come la preghiera cristiana, possiamo far nostre le espressioni di un illustre studioso: “L’ispirazione mariana della letteratura italiana trova in Dante un’espressione poeticamente e teologicamente perfetta. Egli ha il merito di aver visto Maria all’interno del mistero della Redenzione: Dio-Trinità l’ha eletta fin dall’eternità ad essere la madre del Verbo, termine fisso d’eterno consiglio; madre e figlia di Dio che le è padre e figlio; insieme vergine e madre, Vergine madre, figlia del tuo figlio” (F. Castelli, Maria ostensorio della Trinità, in «La civiltà cattolica», 152 (vol.2/2001) 3620, 143). In un certo senso, si può dire che la Divina Commedia è quasi la summa letteraria e teologica del Medioevo e Dante è come il San Tommaso d’Aquino della poesia. In questo sublime poema, troviamo forse l’unico caso nella storia della letteratura e della teologia, in cui la profondità delle verità si esprime attraverso lo splendore della bellezza poetica in modo tanto perfetto. Qui, infatti, la verità illumina la mente e la bellezza che rifulge da essa, parla ai cuori di coloro che si pongono in ascolto dei suoi versi, con una vera teologia estetica. Giovanni Boccaccio, nel suo Trattatello in laude di Dante, sottolinea proprio l’interscambiabilità della poesia e della teologia nelle opere del Sommo Poeta: “dunque bene appare, non solamente la poesì essere teologia, ma ancora la teologia essere poesia” (G. Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, Ricciardi, Milano-Napoli 1965, p. 621). E lo stesso San Paolo VI, nel 1965, celebrando il VII centenario della sua nascita, scrisse di lui: “le alte disquisizioni e i sottili ragionamenti risultano inaccessibili agli umili, che pure — e sono una moltitudine — desiderano il pane della verità. Sennonché anch’essi avvertono, gustano, apprezzano l’efficacia e il dono della bellezza; e per questa via è più facile che la verità risplenda loro e li nutra. Questo si propose, questo realizzò l’autore dell’altissimo canto, per cui la bellezza divenne ancella della bontà e della verità, e la bontà materia della bellezza” (Lettera Motu proprio Altissimi Cantus).

don Luciano Labanca

Un pensiero su ““Umile e alta più che creatura”: Dante canta Maria

  1. Maria

    Meraviglioso….
    Un tema stupendo, profondo e contestualmente estremamente attuale.
    La lettura dona a chi divora il testo, un insieme di sensazioni ed emozioni uniche. Inevitabilmente, il pensiero in questo terribile tempo che viviamo, e volto a richiedere a Maria ciò che tutti, con le nostre preghiere quotidiane, chiediamo incessantemente, la fine della malattia e il sollievo per chi soffre.
    Per me leggerlo è stato ancora più emozionante, considerato che La Divina Commedia fu per mio padre l’opera dello studio quotidiano a cui si dedicò per uno spassionato amore verso l’opera, rientrante nel più ampio amore per la cultura ed il sapere…..
    Infine un pensiero va ai giovani che oggi, a volte senza aver approfondito assurgono a cultori di ciò che poco conoscono, forse dovremmo essere noi più” maturi” a guidarli…..

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