L’ultima Enciclica sociale

Quasi sempre, nei libri di storia contemporanea, si menziona il 15 maggio 1891, data di pubblicazione della prima enciclica sociale, la “Rerum Novarum” di Leone XIII. In quell’importante documento, pur prendendo le distanze dal concetto socialista di “lotta di classe”, considerato anticristiano, Papa Gioacchino Pecci faceva proprie le giuste rivendicazioni della classe operaia, il diritto di associazione sindacale, nonché il giusto salario per i lavoratori. Da quel momento, in tutto il corso del XX secolo, altri pontefici, come Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, fino a Papa Francesco, hanno toccato nel loro magistero temi sociali, contribuendo a costruire la cosiddetta “dottrina sociale della Chiesa”. In questa lunga e feconda tradizione si inserisce anche l’Enciclica “Fratelli tutti”, firmata sulla tomba di San Francesco in Assisi e pubblicata il 4 ottobre scorso da papa Bergoglio. Questo lungo testo in otto capitoli e 287 paragrafi, il cui titolo è preso proprio dalle parole del Poverello di Assisi, ha per tema la fraternità e l’amicizia sociale. La visione del mondo del santo di Assisi – come sottoline il Pontefice – è stata quella “di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita” (FT, 1). Questa ispirazione francescana ha invitato Papa Francesco a ribadire in un modo più sistematico i temi della fraternità e dell’amicizia sociale, presenti in molti dei suoi interventi magisteriali e pastorali, sin dall’inizio del suo pontificato. L’Enciclica, a dire dello stesso Pontefice, accanto a San Francesco, ha un’altra fonte di ispirazione nell’incontro con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb ad Abu Dhabi, conclusosi con la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (4 febbraio 2019), di cui si trovano citati testualmente ampi stralci nell’appello finale del documento papale.
A chi si rivolge e perchè

Nell’Introduzione all’Enciclica il Papa afferma con chiarezza : “pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà” (FT, 6). Tutta l’umanità, dunque, non solo per i credenti, ne è destinataria. Ma perché in una società pluralistica come quella attuale – è lecito chiedersi – un Papa ha ancora qualcosa da dire all’umanità? Correndo impazientemente al capitolo VIII, “Le religioni a servizio della fraternità nel mondo”, si può scorgere un abbozzo di risposta a questa domanda, che sembra offrire una buona chiave di lettura a tutto il testo: “è vero che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza, che implica una costante attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione ma che si adopera per la promozione dell’uomo e della fraternità universale. Non aspira a competere per poteri terreni, bensì ad offrirsi come una famiglia tra le famiglie – questo è la Chiesa -, aperta a testimoniare […] al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte aperte” (FT, 276). Già Paolo VI nel 1967, parlava della Chiesa come “esperta di umanità” (Populorum progressio, 13). È proprio questa la motivazione profonda che muove Francesco a parlare di nuovo al mondo. Il grande tesoro del Vangelo di Gesù Cristo, il patrimonio spirituale e culturale millenario, con il suo messaggio di amore, pace e fraternità, rendono la Chiesa esperta di umanità e portatrice di una parola ancora valida ed incisiva per l’uomo e per il mondo di oggi. In un momento storico in cui l’umanità si trova ad affrontare l’emergenza sanitaria, data dalla pandemia da Covid-19, la parola del Papa si presenta come un faro e uno sprone all’apertura di nuovi percorsi condivisi di riflessione e di rinascita, perché tutti “riconoscendo la dignità della persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità […]. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (FT, 8).
Contenuti
- Uno sguardo “incarnato”
Il percorso logico seguito da Papa Francesco nell’Enciclica prende avvio dal primo capitolo, significativamente intitolato “Le ombre di un mondo chiuso” (nn. 9-55), in cui viene presentata un’analisi lucida e attuale della realtà contemporanea, attraverso la rilettura originale delle criticità della società in un modo realistico, senza mistificarle o addolcirle, ma nello stesso tempo cogliendone le potenzialità e aperture alla speranza, secondo un autentico metodo cristiano.
2. Provocazione evangelica
Dopo questa “fotografia” della realtà, papa Bergoglio nel secondo capitolo, “Un estraneo per strada” (nn. 56-86) attinge alle fonti della Sacra Scrittura, analizzando un testo evangelico ben noto, la parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37), capace di offrire un criterio valido e nuovo, ossia “una potente provocazione, che smentisce ogni manipolazione ideologica, affinchè allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli interessi meschini” (FT, 83).
3. Amore sociale
La riflessione del Pontefice nel capitolo terzo, “Pensare e generare un mondo aperto” (nn. 87-127), presentando una sorta di “fenomenologia dell’amore sociale”, attinge con abbondanza alla dottrina tradizionale dei teologi cristiani e ne presenta il fondamento nella dignità inalienabile della persona umana. Francesco afferma lucidamente: “Vi è oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia dei diritti individuali – sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (monas), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze” (FT, 111). Riprendendo il tema della proprietà, il Pontefice argentino si rifa all’autentica dottrina cristiana, secondo la quale la proprietà privata non è un assoluto, ma ha una profonda funzione sociale, che mai deve contraddire il principio primo della destinazione universale dei beni terreni. Aggiunge il Papa: “Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica” (FT 120). È evidente, per chi conosce la dottrina sociale della Chiesa, come il Pontefice si ponga in totale continuità con i suoi predecessori, esortando ad un uso sano della proprietà, come strumento sociale utile allo sviluppo integrale della persona umana, finalizzato ad offrirle uno spazio di libertà e di azione, senza mai contraddire però il principio della destinazione universale dei beni del mondo (FT, 118). Ogni lettura che volesse dare a queste affermazioni del Papa un colore politico particolare, come ha tentato di fare nei giorni scorsi certa stampa, sarebbe totalmente estranea al testo e al contesto!
4. I fratelli migranti

Nel quarto capitolo, “Un cuore aperto al mondo intero” (nn. 128-153), viene dettagliatamente sviluppato un altro tema molto caro a Papa Bergoglio, la questione dei migranti. Il Pontefice offre quattro verbi guida per affrontare la questione secondo uno stile di fraternità e amicizia sociale: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” (FT, 129). Soltanto mediante uno sforzo comune degli Stati, con risposte comuni, alla base di una governance globale, sarà possibile una vera integrazione, senza cedere ai nazionalismi chiusi, che fanno guardare all’immigrato come un usurpatore, nè alla tentazione dell’utilitarismo, per cui sarebbe opportuno aprire le porte solo agli scienziati e agli investitori (FT, 138). L’apertura verso i migranti, tuttavia, ribadisce bene Francesco, “non si pone mai a scapito dell’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensi integra le novità secondo modalità proprie” (FT, 148).
5. Carità politica
Una vera perla dell’Enciclica è il capitolo V, “La migliore politica” (nn. 154-197), che dovrebbe essere oggetto di attento studio da parte della nostra classe politica e di chi si interessa del bene comune e del governo della cosa pubblica. Il Pontefice offre una profonda analisi del concetto di popolo, molto al di là della semplice somma di individui, ma una realtà veramente dinamica, fatto di legami sociali e culturali da svilupparsi con processi lenti e difficili in un progetto comune (FT, 158). Sia il populismo, inteso come “strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere” (FT, 159), sia il liberalismo, che vede il popolo come “mera somma di interessi che coesistono” (FT, 163), distruggono la verità del popolo. Ciò che tiene insieme le diverse realtà, evitando polarizzazioni pericolose, è la carità, con la capacità di includere ogni cosa nella sua dedizione, rafforzando l’incontro fra le persone. Recuperando un concetto dell’insegnamento di Pio XI, Papa Francesco sostiene che la “carità politica” dovrebbe animare ogni attività volta al bene comune, cosi da offrire uno sguardo ampio sulla realtà e sui veri bisogni delle persone (cfr. nn. 186-192), aiutando gli stessi politici ad interrogarsi sull’efficacia del loro servizio, al di là di ogni apparenza e “maquillage mediatico” (FT, 197). In una linea di evidente continuità anche con il magistero di Benedetto XVI (Caritas in veritate, n. 67), Francesco invita ad una profonda riforma delle Nazioni Unite, per superare il monopolio del potere in mano a pochi, dando a questa istituzione una identità di vera famiglia delle Nazioni, dove attraverso il principio del rispetto degli impegni presi (pacta sunt servanda), si possa vincere la tentazione di servirsi del diritto della forza, anzichè della forza del diritto per costruire la vera pace (FT, 174).
6. Riscoprire dialogo e gentilezza
“Dialogo e amicizia sociale” è il titolo del VI capitolo (nn. 198-224), in cui il Pontefice offre una definizione di dialogo, destinata ad essere accolta a 360°: “Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo «dialogare»” (FT, 198). Il relativismo e il velo di una presunta tolleranza, però, non possono mai essere la soluzione per cercare tale dialogo, ma soltanto la verità della dignità umana. Solo tale visione profondamente personalistica può realmente muovere verso una maturazione della società, dove la gentilezza trovi ancora la sua dimora, specialmente nel contesto in cui l’altro è considerato sempre più un ostacolo e l’aggressività aumenta (FT, 222).
7. Pace, guerra e pena di morte

Di grande attualità in un mondo lacerato da violenze e guerre, è il messaggio del capitolo VII, “Percorsi di un nuovo incontro” (nn. 225-270). Francesco esorta alla costruzione della pace, che nasce sempre dalla ricerca della verità, della giustizia, della memoria, del perdono e del superamento della logica della vendetta. Il perdono e la riconciliazione, però, sebbene siano temi centrali del messaggio cristiano, non devono mai lasciare spazio agli eccessi, come “il fatalismo, l’inerzia o l’ingiustizia, oppure dall’altro lato, l’intolleranza e la violenza” (FT, 237). I mali della storia, come ad esempio la Shoa, i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki e tutte le altre ingiustizie, non possono mai essere oggetto di dimenticanza (FT, 247). Coloro che perdonano, infatti, “non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancorauna volta su loro stessi. Infatti, la vendetta non sazia mai veramente l’insoddisfazione delle vittime” (FT, 251). Di fronte alle ingiustizie, si presentano le due situazioni estreme, quella della guerra e quella della pena di morte. Entrambe, dice il Papa, “sono false risposte” (FT, 255). Le crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie hanno assunto un potere distruttivo incontrollabile, pertanto “non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra” (FT, 258). Si tratta della piena adozione magisteriale di quella posizione già espressa da Papa Francesco in occasione di una intervista al giornalista francese Dominique Wolton, in cui aveva affermato: “Ancora oggi, dobbiamo riflettere bene sul concetto di «guerra giusta». Abbiamo imparato in filosofia politica che, per difendersi, si può fare la guerra e considerarla giusta. Ma una guerra può davvero definirsi «giusta»? Non è piuttosto una «guerra di difesa»? Perché l’unica cosa giusta è la pace” (D. Wolton, a cura di, Papa Francesco e Dominique Wolton, Dio è un poeta: un dialogo inedito su politica e società, Milano, 2018, p. 43).
8. Il grande ruolo delle religioni
Il capitolo VIII, “Le religioni al servizio della fraternità nel mondo” (nn. 271-287), presenta a mo’ di conclusione, l’idea che il dialogo e la collaborazione fra le religioni, non sia soltanto un dovere diplomatico e cortese, quanto invece un’autentica condivisione finalizzata alla costruzione della pace, dell’amicizia e dell’armonia. L’apertura del cuore dell’uomo all’Assoluto, fa sì che le esperienze religiose, con la loro sapienza, possano dire qualcosa al mondo di oggi: “non è accettabile – afferma il Papa – che nel dibattito pubblico abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati. Dev’esserci uno spazio per la riflessione che procede da uno sfondo religioso” (FT, 275). Sulla stessa lunghezza d’onda, qualche rigo più avanti, annuncia con forza quella che dovrebbe essere la convinzione cristallina di ogni credente, a prescindere dalla religione che professa: “Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni” (FT, 282).
Invito alla lettura
Dopo aver presentato le linee salienti del pensiero di Papa Francesco nella sua terza Enciclica “Fratelli tutti”, da lui stesso definita “sociale”, l’invito è quello di prendere contatto diretto con il testo del documento, cosi ricco e denso di contenuto, per lasciarsi provocare alla riflessione e nutrirsi della sapienza del Pontefice, cosi da poter fare la nostra parte di cristiani alla costruzione di una vera fraternità e amicizia sociale, che tanto contribuirebbero a rendere il nostro mondo più bello e più umano.

Testo completo dell’Enciclica Fratelli tutti: clicca qui