Temi di Quaresima: 3. La preghiera
di don Francesco Diano
Alzare lo sguardo verso il cielo

San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, scriveva: “Apriamo gli occhi alla luce divina” (Cfr. San Gregorio Magno, Vita di San Benedetto e la Regola, Ed. Città Nuova, Roma, 1996). Questo versetto, contiene l’essenza stessa della preghiera indicando nel contempo la centralità della vista nell’esperienza dello Spirito. Preghiamo prima di tutto con gli occhi, ci esponiamo alla luce che divinizza, illuminati e metamorfizzati dai raggi che emanano dal Cristo trasfigurato. Nella preghiera autentica l’uomo è chiamato a sperimentare il Tabor, nella misura in cui il suo cuore è purificato. In un momento importante della vita della Chiesa, nel discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI affermò che “fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Lui, in quell’atteggiamento che chiamiamo contemplazione, diventa l’atto più alto e pieno della mente, quello che anche oggi può e deve ordinare l’immensa piramide delle attività umane” (Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II, Allocuzione del Santo Padre Paolo VI, in «http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1965/documents_epilogo-concilio.html», Martedì, 7 dicembre 1965). Per tale ragione, approfittando di questo tempo di Quaresima, faremmo bene a dare un’occhiata più da vicino alla piramide delle nostre attività e a controllare se la sua cima non sia troppo smussata. La Quaresima è ancora una volta l’occasione per imparare a vedere in modo nuovo le cose di sempre. Ognuno è chiamato a riscoprire attraverso la preghiera la sua vera vocazione: essere sentinelle vigili; guardare con attenzione il mondo che ci circonda, non limitandoci a scrutare ciò che ci è intorno, o ciò che è lontano, ma portando lo sguardo oltre, al Cielo, per poter finalmente vedere la realtà con gli occhi stessi di Dio. Vivere il deserto di questa Quaresima non sarà solo rinunciare a qualcosa, ma l’occasione per riscoprire le verità di sempre, quelle verità che Dio ci ha consegnato: Gesù, la sua Parola e il nostro essere Chiesa.
Fissare lo sguardo su Gesù
Quanto più puro è il cuore, tanto più chiara e intensa è la visione di Cristo; non esiste un grado zero della visione di Dio. Lo Spirito Santo ha dato alla Chiesa le sante icone (sia in Oriente che in Occidente). Ci sono offerte come visione provvisoria: una visione di Dio alla portata dei ciechi, accessibile alla fragilità della nostra condizione umana. Per molte ragioni, l’Occidente ha dimenticato le sue icone nel corso dei secoli, sostituendole tuttavia con l’esposizione del Santissimo Sacramento. Sarebbe tragico se la vita di preghiera perdesse il significato dell’adorazione eucaristica: l’Eucaristia è adorata perché è conservata e non conservata per essere adorata. Il Santissimo Sacramento presente nel tabernacolo o esposto secondo le disposizioni liturgiche della Chiesa, rimane per gli occidentali la Grande Icona, il grande elemento visivo, indispensabile per la preghiera. Pregare è quietarsi e guardare; è stare davanti a Cristo come una vetrata penetrata dalla luce del sole. Nell’adorazione eucaristica volgiamo lo sguardo a Gesù, rivolgiamo a Lui i nostri occhi, a volte pieni di gioia, di fiducia, altre volte pieni di attese e di lacrime, e da Lui ci lasciamo guardare. Fissiamo lo sguardo nella promessa del suo infinito amore e iniziamo a vedere con gli occhi della fede. Non posso limitarmi a considerare quello che “io” vedo, ma devo divenire capace di sentire quello che Dio vede attraverso di me, vincendo la paura che ho di guardare secondo l’intenzione di Dio, la paura di dire, di pensare, di rinunciare, secondo la volontà di Dio. Devo imparare a guardare con gli occhi di Dio, cominciando con l’imparare a vedere me stesso con lo sguardo con cui Lui mi vede e con gli stessi occhi guardare gli altri.
Uno sguardo che vede

Il Curato d’Ars diceva che “la preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa saovità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno può più separare” (A. Monnin, Esprit du Curé d’Ars, Dans ses Catéchismes, ses Homélies e sa Conversation, TÉQUI éditeur, Parigi, 2007, p. 89). Da questa intima unione scaturisce un’immensa compassione per il mondo che si esprime nella preghiera di intercessione. Quando intercediamo per i nostri fratelli e sorelle nel segreto del cuore, dobbiamo credere nella forza misteriosa di questa preghiera, la quale ha un effetto diretto e immediato sulle persone che affidiamo alla Protezione Celeste; inoltre dobbiamo credere nella realizzazione della richiesta che a Dio poniamo. Assumere qualcuno nella propria vita di preghiera è un impegno difficile, perché implica la fedeltà a Dio. Pertanto, le parole di fede non devono essere sprecate. Ecco, dunque, perché è necessario fare attenzione quando diciamo a qualcuno che vive una situazione di prova: “pregherò per te”.
Ipermetropia, miopia o astigmatismo spirituale?
Sebbene a prima vista la preghiera possa apparire semplice, sulla scia di quanto poc’anzi affermato, poiché implica semplicemente lo stare e il guardare, tuttavia nell’atto dell’orazione si incontrano una serie di difficoltà. A tal proposito notiamo che il Catechismo della Chiesa Cattolica non parla della lotta per l’obbedienza, o della castità, o ancora della povertà, piuttosto parla specificatamente della lotta della preghiera. È come se il Catechismo facesse eco a ciò che diceva Abba Agathon, un monaco eremita del quarto secolo che visse nel deserto egiziano al quale i fratelli chiesero: «“Qual è la virtù tra le opere buone che comporta più sforzo?” E lui rispose: “Perdonatemi, credo che non ci sia sforzo paragonabile alla preghiera a Dio. Perché ogni volta che l’uomo desidera pregare, i suoi nemici vogliono allontanarlo da esso. Sanno, infatti, che non si può resistere se non si prega Dio. Per ogni altra opera buona che un uomo intraprende, perseverando in essa, acquista facilità. Ma per la preghiera, ha bisogno di lottare fino al suo ultimo respiro”» (L. d’Ayala Valva (a cura di), I Padri del deserto, Detti, Collezione sistematica, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI), 2013, p. 391). Per rimanere fermi nella preghiera, dobbiamo sfidare o fare i conti con i principali “difetti visivi”. Ognuno di noi é chiamato a vigilare su se stesso: acquisire consapevolezza dei propri limiti, saper mettere a fuoco e ricorrere alla correzione o alla cura specifica.
Attenzione al glaucoma!

Il Catechismo va direttamente al cuore delle nostre difficoltà nella preghiera. La tentazione più comune, la più nascosta, è la nostra mancanza di fede: “Quando ci mettiamo a pregare, mille lavori o preoccupazioni, ritenuti urgenti, si presentano come prioritari; ancora una volta è il momento della verità del cuore e del suo amore preferenziale” (CCC n. 2732). Il Catechismo ci fa anche notare che “la distrazione è la difficoltà abituale della nostra preghiera. […] Cercare di scacciare le distrazioni sarebbe cadere nelle loro trappole, mentre è sufficiente tornare al nostro cuore” (CCC, n. 2729). Non è grave avere distrazioni nella preghiera. Una preghiera con qualche distrazione non è necessariamente una cattiva preghiera. Il nostro corpo è lì davanti a Dio, il nostro cuore è lì. Se la nostra immaginazione vola via, l’essenza di noi stessi è ancora davanti a Dio. Più esperienza acquisiamo nell’arte della preghiera, più le spiagge del vero silenzio si espandono nel nostro cuore quando stiamo davanti a Dio. E dal profondo di noi stessi, di tanto in tanto, sorge una parola che allieta il cuore di Cristo: “Signore, è bello essere qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt 17, 4).