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Domenica delle Palme e della Passione del Signore/A 2023 – Per noi uomini e per la nostra salvezza

COMMEMORAZIONE DELL’INGRESSO DI GESU’ A GERUSALEMME

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 21,1-11)

Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

PASSIONE DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO SECONDO MATTEO (Mt 26,14-27,66)

Commento

Con la solenne celebrazione della Domenica delle Palme entriamo nei riti della Grande settimana, la Settimana Santa. Con il gesto della benedizione dei rami di ulivo e di palma rievochiamo liturgicamente il solenne ingresso di Gesù nella città santa di Gerusalemme. Benedetto XVI ci ricordava che in questo modo ciascuno di noi viene inserito nell’eterna processione con la quale la Chiesa si pone sulle orme di Cristo: “La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine di qualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù, c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vivente. È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invita” (Omelia per la domenica delle Palme, 2011). Come i discepoli di Gerusalemme lo accolsero solennemente, con rami di palme e ulivo, così anche noi, suoi discepoli di oggi, vogliamo metterci dietro di lui, seguirlo nel cuore del mistero pasquale della sua morte e risurrezione. Non c’è vita cristiana, vero discepolato, se non nella sequela di Cristo nel suo mistero pasquale. Un padre della Chiesa, commentando l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, così si esprime: “Il re umile e mansueto è alle porte. Nei cieli egli cavalca sui cherubini, quaggiù è seduto su un puledro di asina. Prepariamo la dimora della nostra anima. Togliamo le ragnatele, cioè ogni rancore contro i fratelli. Non si trovi in noi la polvere delle critiche, ma laviamo abbondantemente tutto con l’acqua dell’amore. Livelliamo le gobbe dell’inimicizia, inghirlandiamo i portici delle nostre labbra con i fiori della bontà. Uniamoci alle acclamazioni della folla: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!” (San Proclo di Costantinopoli, Oratio IX, In ramos Palmarum, 1-3.4. PG 65, 772-777). Il gesto di benedire i rami di palma e di ulivo, che scambiamo tra noi come segni di pace, di riconciliazione, ci aiuta in questa preparazione alla Pasqua: lasciamo spazio alla comunione fraterna, alla riconciliazione! Questo è vivere la Pasqua!

Nella seconda parte della liturgia della Domenica delle Palme siamo invitati alla contemplazione della Passione di Gesù, quest’anno secondo la versione di Matteo, che ha un’enfasi tutta particolare sul compimento delle Scritture. La Passione e la morte di Gesù sono il compimento della Legge e dei Profeti. È lì che l’amore di Dio annunciato nell’Antico Testamento diventa profondamente concreto e tangibile nel dono della vita del Figlio per la nostra salvezza. Con il popolo radunato davanti a Pilato, che vilmente si lava le mani per non essere responsabile del sangue innocente di Cristo, anche noi ripetiamo: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25). Quelle parole pronunciate dal popolo con rabbia, sono una vera profezia di salvezza! Si, davvero vogliamo che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli per salvarci, per purificarci, per renderci nuove creature! Già nel gesto dell’ultima cena, profezia e anticipazione della donazione totale di Gesù sulla croce, che rappresenta la prima scena del dramma della Passione, Gesù ha solennemente annunciato: “questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28). In quel «per molti» si ritrova il senso della donazione totale di Gesù. Nel linguaggio semitico, in questa espressione, c’è il senso della totalità, ma nello stesso tempo anche quello della necessità di aderire personalmente a questo dono. Nel credo noi proclamiamo solennemente: “propter nos homines et propter nostram salutem…“, ossia la motivazione dell’incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù siamo noi e per la nostra salvezza. Entrando nella Settimana santa, siamo invitati a vivere questi giorni di grazia seguendo Gesù in tutti i passaggi della sua spoliazione, fino alla morte, ricordando che tutto Egli ha realizzato per noi, per ciascuno di noi, per me, per te, lasciandosi schiacciare da tutto il male del mondo! Non c’è vita cristiana senza la croce. Non basta saperlo intellettualmente, ma è necessario sentirlo profondamente, aderirvi con la mente e la volontà nella fede e nell’obbedienza. Gesù è morto duemila anni fa per me, ma io ho bisogno di questa salvezza nell’oggi della mia vita. Non posso pensare di stare a posto, di non avere bisogno di Lui. Seguendo Gesù che entra solennemente in Gerusalemme, chiediamo la grazia di poter sentire interiormente in noi il bisogno e la sete della sua salvezza. Solo Cristo, con la sua Croce e la sua Risurrezione, può darci la salvezza: “non c’è altro nome dato agli uomini in cui sia data la salvezza” (At 4,12). Potremo anche guadagnare il mondo intero, ma se perdiamo noi stessi, nulla ha senso. Cristo ha cura di noi, ci ama, ci attende, non rifiutiamo questa grazia, ma lasciamoci toccare da Lui, specialmente attraverso la grazia dei sacramenti, della Riconciliazione e dell’Eucaristia, questi segni di grazia, in cui lo Spirito Santo entra in noi e ci fa partecipi della sua salvezza.

V domenica di quaresima /A: Forte come la morte è l’amore

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,1-45)

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Commento

La quinta domenica di quaresima nel ciclo liturgico dell’anno A ci dona il segno della risurrezione di Lazzaro. Dopo il tema dell’acqua viva (3° domenica), della luce (4° domenica), oggi è presentato alla nostra contemplazione il tema della vita vera. Attraverso una pagina profondamente umana, in cui il Figlio di Dio rivela la sua gloria, misurandosi con il dolore per la morte dell’amico, partecipandovi perfino con le lacrime, siamo invitati a riflettere sul vero senso della nostra esistenza. Nulla più dell’esperienza della morte mette in crisi il cuore dell’uomo. È l’evento più critico, in cui l’uomo si trova solo ad attraversare l’ultima porta della vita. La tentazione di leggerla in maniera tragica, scivolando nell’angoscia e nella disperazione, è sempre dietro l’angolo. Nel cantico dei cantici leggiamo: “Forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6). È proprio così. Nell’amore che Gesù mostra all’amico Lazaro, c’è l’amore che Egli ha per ciascuno di noi. Egli non lascia l’uomo nell’oscurità della notte, ma prendendo sul serio la condizione mortale, con tutto il dramma che essa contiene, viene ad aprirci uno spazio nuovo e inaspettato, quello della vita senza fine, che è il frutto maturo della sua resurrezione in noi. La morte, conseguenza del peccato,  è comune eredità di ogni essere umano. Facendosi uomo e passando attraverso la medesima esperienza, Cristo ha aperto una strada nuova: non è venuto a salvarci dalla morte, ma attraverso la morte. Egli è la risurrezione e la vita, perché su di Lui la morte non ha avuto l’ultima parola, ma è stata distrutta dalla sua vita divina. Chi crede in Lui, dunque, non è mai solo sia nella vita che nella morte, come ci ricordava Benedetto XVI. Il segno della risurrezione di Lazzaro, il suo ritorno alla vita terrena, è la prova che Cristo ha potere sulla vita e sulla morte. Sebbene l’amico di Gesù, dopo qualche tempo – non sappiamo esattamente quanto – sia morto di nuovo, l’evento del suo ritorno in vita vuole invitarci a credere senza riserve in Cristo, come Marta e Maria e far sì che possiamo gettarci nel suo abbraccio amoroso, sapendo che noi siamo preziosi ai suoi occhi e non saremo mai abbandonati, soprattutto nell’ora più buia.

IV domenica di quaresima/A: Di fronte alla Luce

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 9,1-41)

[ In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita ] e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, [ sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». ] Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». ] Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [ Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. ] Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Commento

La quarta domenica di quaresima, detta anche “Laetare”, è caratterizzata da un clima spirituale più gioioso, perché nel cammino dei quaranta giorni, si inizia ad intravedere la meta pasquale più prossima. Dalla stupenda pagina evangelica proposta alla nostra contemplazione, tratta dal capitolo 9 del Vangelo di San Giovanni, risplende trionfante il volto di Gesù, che presenta se stesso come “luce del mondo”. Il Verbo incarnato, vero Dio e vero uomo, reca nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Attraverso il segno della guarigione di quest’uomo cieco dalla nascita, il Maestro si rivela come segno di contraddizione, illuminando coloro che lo riconoscono e confondendo coloro che lo rifiutano. In giorno di sabato, Gesù rivela le meravigliose opere di Dio in un uomo mendicante, ben noto per essere non vedente dalla nascita. Incontrandolo, Gesù con la sua mano ri-creatrice, impastata della saliva della sua Parola e della terra della creazione, lo guarisce dalla sua cecità e lo invia alla piscina dell’Inviato (Siloe), perché vi si immerga. Si tratta, evidentemente, di un chiaro richiamo battesimale: attraverso l’opera ricreatrice della grazia, l’uomo viene immerso nella morte e nella risurrezione di Cristo, l’Inviato del Padre, e riceve l’illuminazione della fede. In questo segno l’uomo guarito vede il profeta, colui che parla di Dio e parla in nome di Dio, per arrivare gradualmente al riconoscimento del suo essere Figlio di Dio, credendo in Lui e adorandolo. Accanto a Gesù e al cieco, l’evangelista Giovanni mette in scena, in questo dramma, anche altri protagonisti, con un ruolo, che si potrebbe definire “collaterale”. Si tratta anzitutto dei suoi discepoli, che sfidati dalla realtà dell’uomo cieco, più che riconoscerne la sofferenza, propongono di disquisire sulle cause: chi ne è colpevole? Lui stesso o i suoi genitori? Anche noi, a volte, ragioniamo così: invece di soffermarci sulle sfide che la realtà e le persone ci offrono, perdiamo tempo ad interrogarci sulle cause, sui perché, finendo per trascurare i fatti e perdendo occasioni preziose di crescita e di servizio. Gesù, invece, ci aiuta ad avere uno sguardo diverso: più che soffermarsi sulla tentazione di incolpare necessariamente qualcuno, il Maestro propone di accettare la sfida e di riconoscervi la chiamata ad un oltre, quello di rendere gloria a Dio. Magari imparassimo a leggere anche noi così le nostre difficoltà e sfide quotidiane! Accanto ai discepoli, Giovanni mette in scena le figure sinistre dei Giudei, che cercano pretesti contro Gesù e sono i veri ciechi, perché presumono di vedere tutto e bene, ma in realtà giungono al paradosso di rifiutare la luce di Dio, credendo in questo modo di onorare Dio stesso. Che il Signore ci liberi da questa rigida ottusità. Infine, si può vedere l’atteggiamento neutralmente pauroso dei genitori del cieco: essi, terrorizzati dalle ritorsioni dei Giudei, preferiscono l’ignavia di chi non prende posizione e vuole sempre cadere all’impiedi, per difendere la propria posizione. Anche noi, di fronte all’opera di Dio potremmo incorrere nello stesso atteggiamento, quando cedendo alle pressioni della cultura maggioritaria, piuttosto che essere testimoni coraggiosi in questo mondo, scegliamo di non uscire dalla nostra confort zone del politicamente e socialmente corretto, optando per una tiepida viltà. Quando scegliamo questa posizione “senza infamia e senza lodo” (Dante, Inferno, III, 36), dovremmo ricordare di quanto il veggente scrive all’angelo della Chiesa di Laodicea nel libro dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3,15-16).

III domenica di quaresima/A: La brocca abbandonata

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 4,5-42)

[In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua»] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».] In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». [Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».]

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La pagina evangelica di questa domenica ci invita a contemplare l’incontro di Gesù con la samaritana, che è figura anche del nostro incontro personale con il Signore, alla base della nostra fede. Gesù entra in dialogo con questa donna samaritana chiedendole dell’acqua, l’elemento più prezioso per la vita. Partendo dal livello di un bisogno materiale, il Maestro vuole che la donna cammini con Lui in un approfondimento della fede che la trasformi nell’intimo, portando fuori il vero bisogno che c’è in lei, la vera sete di vita, che solo Lui può estinguere. Gesù entra in dialogo con questa donna, samaritana e persino convivente. Qualcosa che per gli standard socio-religiosi dell’epoca era assolutamente sconveniente, specie per un Maestro. Egli, però, non si lascia condizionare dai pregiudizi, rompe gli schemi e dialoga con lei, la accoglie senza limitazioni. La sympateia di Gesù verso di lei viene prima ancora della sua conversione. Ella si sente accolta, importante, viene coinvolta in un cammino. Nel chiederle acqua Gesù manifesta il modo tipico di agire di Dio: quando Egli chiede qualcosa alla sua creatura, essa riceve sempre infinitamente di più di quanto le è chiesto di dare. Così accade anche in ogni esperienza vocazionale. Il cammino che Gesù apre alla donna, attraverso la lettura della sua vita, anche delle pagine più contraddittorie e ombrose, la inducono alla domanda più profonda: come si può incontrare Dio? Il tempo delle figure è passato, è tempo di adorare Dio in spirito e verità, ossia nella verità dell’incontro personale con il Padre, che Gesù – il Messia che le sta di fronte – è venuto a rivelare nel mondo nel Gesù storico, capace di inserire tutti in quella comunione che Egli ha con il Padre e che dona a tutti i credenti. Dopo questo dialogo un particolare richiama la nostra attenzione: la donna abbandona la sua brocca al pozzo. Questo elemento è molto di più di un assenso fatto di parole, ma è il segno che, quanto le interessava prima, ora non le interessa più. Ella, dopo l’incontro con il Maestro, cambia l’ordine delle sue priorità e non può trattenere per sé la gioia dell’incontro, deve condividerla; per questo scappa a dare l’annuncio al suo villaggio. La sua testimonianza è forte e discreta, non si impone, ma suscita domande: ella pone l’interrogativo della fede e suscita il desiderio dell’incontro, relativizza la propria persona e lascia tutto lo spazio al Signore. Il frutto della sua missione è evidente: la sua gente viene stimolata dalla sua testimonianza, ma poi va oltre, per far posto all’esperienza personale: “Non è per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo veduto e sappiamo” (Gv 4,42).

II domenica di Quaresima/A: In ascolto… della luce

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 17,1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Commento

Proseguendo il percorso della quaresima, giungiamo alla seconda tappa domenicale di questo ciclo A, con la sua forte connotazione battesimale. Dopo aver meditato sul Vangelo delle tentazioni domenica scorsa, attraverso il quale siamo stati invitati a riflettere sull’identità del Figlio di Dio e sulla nostra dignità di figli nel Figlio, per incamminarci seriamente nella sua sequela, oggi viene offerto alla nostra contemplazione l’episodio della trasfigurazione di Gesù. Chiamati ad entrare nella battaglia spirituale di adesione quotidiana a Cristo e rinuncia al male e al peccato, in una strada veramente in salita, è come se per un momento venisse aperto per noi un sipario sulla meta pasquale, donandoci un’anticipazione della luce della Risurrezione. Nell’economia del Vangelo di Matteo, la trasfigurazione è la seconda delle tre grandi rivelazioni che Gesù fa del mistero che si nasconde sotto la sua povera umanità. La prima di queste rivelazioni accade all’inizio del suo ministero pubblico, nel battesimo del Giordano, dove la voce del Padre proclama: “questi è il Figlio mio prediletto in cui mi sono compiaciuto” (Mt 3,17). La terza, invece, è quella che avviene sotto la croce, quando il centurione, vedendo spirare il Salvatore, annuncia: “Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54). Nel mezzo del suo cammino terreno, rendendone partecipi Pietro, Giovanni e Giacomo, Gesù per un momento squarcia il velo della sua umanità per rivelare il mistero divino che c’è in Lui. Il suo volto e le sue vesti diventano raggianti e ciò avviene nel dialogo con Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, i pilastri delle Scritture. L’episodio della trasfigurazione, incastonato nel cuore della quaresima, tempo di faticosa conversione e di salita verso la meta pasquale, viene a regalarci un attimo di sollievo e ci ricorda sempre di nuovo che nella fatica del nostro quotidiano, fatto di ombre, di sfide e a volte anche di sconfitte, il volto di Cristo,  vero Dio e vero uomo, risplende per noi sempre di nuovo, quando attraverso le Scritture lette e meditate lo Spirito Santo ci permette di riconoscere la sua divina presenza. È questa, come per i tre discepoli, la nostra esperienza della trasfigurazione. Questi momenti di luce, di consolazione e di gioia nella nostra vita spirituale, sono delle continue “pacche sulle spalle”, che il Signore ci regala per poter proseguire il cammino con fermezza ed entusiasmo. Come Pietro, anche noi, questi momenti di luce vorremmo bloccarli per sempre come in una cattura-schermo, per dimenticare tutto il resto. Nello stupendo messaggio per questa quaresima 2023, proprio commentando l’episodio della trasfigurazione, il Papa invita a “non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo Lui solo” (Messaggio quaresima 2023). E Lui possiamo seguirlo in un solo modo, mentre siamo in questo mondo, vale a dire vivendo seriamente l’invito della voce del Padre: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (Mt 17,5). Mentre camminiamo sulle strade del mondo, infatti, nella provvisorietà della nostra vita terrena, è solo l’ascolto di Cristo, della sua Parola e la ricerca sincera della sua volontà, da cui scaturisce la purezza della fede, l’unica strada possibile per raggiungere la definitività della gloria, frutto maturo della sua croce e della sua risurrezione. Facciamo nostre, dunque, e parole di Pietro, uno dei testimoni di questo evento straordinario della trasfigurazione, che nella sua Lettera ci esorta così: “Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.  E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino” (2Pt 1,18-19).

I domenica di Quaresima/A: Le tentazioni e l’arma della Parola

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 4,1-11)

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Commento

Il ciclo delle domeniche di quaresima dell’anno liturgico A è caratterizzato da una particolare sottolineatura dei temi battesimali, che ci accompagneranno in tutto il percorso fino al Triduo pasquale, quando nella notte di Pasqua saremo chiamati a rinnovare le nostre promesse battesimali con un cuore nuovo. In questa domenica, attraverso l’episodio delle tentazioni di Gesù, siamo invitati a riflettere sulla sua identità di Figlio di Dio e sulla dignità di ciascuno di noi come cristiano. In un famoso discorso, san Leone Magno, così ci esorta: “Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna”. La tentazione, prima di essere l’invito a compiere qualcosa di sbagliato, è un errore circa la verità di Dio e la verità di noi stessi. Le tentazioni che Gesù visse nel deserto, luogo della solitudine e della prova, con evidente richiamo all’esperienza quarantennale di Israele in uscita dall’Egitto, sono profondamente legate alla sua umanità: sono segni concreti che la sua incarnazione è un fatto reale, non apparente o ideale. L’opera del maligno consiste nel voler travisare il piano del Padre per Gesù, creando delle “scorciatoie”, che bypassino la sua umanità. L’uomo ha fame, ha dei bisogni materiali, tuttavia essi non sono assoluti. Anche Gesù ce li ha, ha fame, ma la sua identità è quella del Messia Salvatore, il suo cibo è fare la volontà del Padre. Porre i bisogni terreni come priorità assoluta snatura il volto di Dio e trasforma dei mezzi in fini. L’arma della Scrittura, con cui Gesù risponde alla tentazione diabolica, ci fa ben comprendere questo suo approccio. Ciò che conta veramente per l’uomo è rimanere nella Parola, cercare la volontà di Dio e usare dei beni materiali sempre come strumenti, mai come fini. Dopo l’insuccesso della prima tentazione, il maligno torna alla carica con qualcosa di più sottile. Non è riuscito con l’assolutizzazione di ciò che è materiale, prova con la spettacolarizzazione. Da un’opera salvifica fatta di nascondimento, umiltà, offerta e dono, secondo il disegno del Padre, satana vorrebbe indurre Gesù ad un messianismo magico, rumoroso, spettacolare e da prima pagina. Questa tentazione può essere impattante anche nella nostra vita, quando cerchiamo segni, prodigi, miracoli, che ci confermino nelle nostre idee, piuttosto che ricercare nel silenzio e nella fatica della fede vissuta nel quotidiano il volto del Padre, che preferisce il sussurro del vento leggero della Parola, piuttosto che la dirompenza del vento, la violenza del terremoto o il calore del fuoco (cfr. 1Re 19,11-12). Infine, la più sottile di tutte le tentazioni, quella del potere: cambiare il progetto di amore e donazione, per uno di oppressione e dominio. Questo atteggiamento richiede di eliminare Dio e porre l’idolo di se stessi, del potere e del male al di sopra di Lui. L’arma vincente è quella di riconoscere che solo Dio, è il Signore, fonte di ogni potere e benedizione, mentre l’uomo è chiamato ad obbedirgli e rimanere in quella totale e salutare dipendenza da Lui. Muovendo i primi passi di questo cammino quaresimale, dunque, siamo invitati come Gesù ad essere guidati dallo Spirito, attraverso l’esperienza della prova, confidando nella forza della fede e nella potenza dalla sua Parola, che è sempre l’arma vincente contro gli assalti del male, che è comunque destinato a perire. Rimanendo saldi in questo cammino, quando nella notte di pasqua ci sarà chiesto: “Rinunci a satana?”, potremo rispondere con convinzione: “Rinuncio!”. Il no al male, tuttavia, non basta: abbiamo bisogno di dire anche con convinzione: “Credo che Dio c’è ed è mio Padre, che mi ama in Cristo e vuole salvarmi, rendendomi figlio in suo Figlio!”. Buon cammino a tutti!

25 febbraio 2023: Beato Domenico Lentini da Lauria, una luce da riscoprire

di Giusy Luglio

Cari lettori, oggi, in occasione della festa del Beato Domenico Lentini, che cade nel cuore del Giubileo Lentiniano, corrispondente al XXV anniversario della Beatificazione, il blog è lieto di presentarvi la sua figura di luminosa e semplice santità.

Nato nel 1770 a Lauria, piccolo centro della Basilicata, nel sud Italia, da una famiglia umile, sin dai primi anni dell’adolescenza Domenico avverte un forte e ardente desiderio di seguire Cristo. Con molti sacrifici la famiglia gli permette di iniziare gli studi prima a Lauria e in seguito nel Seminario vescovile di Policastro. L’8 giugno del 1794 viene ordinato sacerdote a Marsico Nuovo (Potenza), essendo vacante la sede vescovile di Policastro. Don Domenico vive pienamente il proprio impegno sacerdotale a Lauria. Si dedica in maniera attenta ai giovani, di cui è stato “amico e confidente, maestro della scienza e padre della vita”, impartendo lezioni nella piccola casetta nel rione Cafaro. Alla scuola di don Domenico non si apprendevano solo le lettere, la filosofia o il greco e il latino, ma forte era il richiamo alla vita sacramentale, con la partecipazione dei ragazzi alla Santa Messa e a momenti di preghiera comune. Centrale è poi il suo impegno nel sacramento della confessione. Accoglieva nel confessionale tutti ed era sempre pronto a dividere con i peccatori le penitenze, anche le più austere. Infatti, come ricordava San Giovanni Paolo II nell’omelia della beatificazione, “(il Beato Domenico Lentini) sapeva bene che nella celebrazione del sacramento della Penitenza il sacerdote diviene dispensatore della misericordia divina e testimone della nuova vita che nasce grazie al pentimento del penitente ed al perdono del Signore”. Uomo di carità e di totale dedizione ai poveri, impossibile è da dimenticare la sua attività di predicatore, accompagnata da preghiere e digiuni. Nel periodo di Quaresima si recava in diversi paesi della Lucania per annunciare a tutti il grande mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore. Con forza si rivolgeva ai fedeli per scuotere le coscienze, rendendo visibili attraverso le sole parole la sofferenza della Passione di Cristo e la gioia della Risurrezione. In una omelia della Domenica di Pasqua così si esprimeva: “Fratelli e sorelle in Gesù Cristo, il cielo è già aperto per voi; la bella corona del Paradiso è già preparata; coraggio adunque, animo e coraggio per la carriera della penitenza, per la via dei comandamenti di Dio. Voi per queste vie dovete camminare, ed è poco; dovete correre, non basta ancora; dovete, dovete volare, né vi dovete punto fermare, finché non si giunga lassù ad ottenere quell’eterna gloria del Paradiso, che il risorto Signore a tutti ed a ciascuno di voi conceda. Amen”. Nei primi giorni di febbraio del 1828 don Domenico inizia ad avvertire i segni della malattia e comprende bene che l’incontro con lo Sposo, che tanto aveva amato e servito, era ormai vicino. Muore il 25 febbraio dello stesso anno e il suo corpo, esposto nella chiesa di San Nicola, continua a mantenere il calore e la flessibilità di un corpo vivo e ad emanare profumo come di rosa. E a noi cosa insegna oggi don Domenico, sacerdote umile e ricco solo del suo sacerdozio? In un mondo dominato dall’indifferenza don Domenico continua a ricordarci che il prossimo non può e non deve essere dimenticato. Dobbiamo risvegliare l’attenzione, la capacità di ascolto; dobbiamo imparare ad accogliere chi è più vicino a noi, chi nella società vive in condizioni di difficoltà, di solitudine e di povertà. Don Domenico ricorda a tutti che è importante vivere con i giovani, per conoscere le loro esigenze, i loro desideri, i loro timori, educandoli, indirizzandoli sempre sulla via maestra del Vangelo e non facendo mai mancare loro guide sicure.  Ci insegna, infine, a vivere da cristiani, fragili e peccatori, nel mondo in comunione con Dio, certi della Sua infinita Misericordia e del suo amore di Padre. Facciamo, allora, risuonare sempre nella nostra vita le dolci note delle parole di don Domenico: “Gesù Cristo è il mio bene, il mio tesoro, il mio tutto!”.

Mercoledì delle Ceneri 2023: Il tempo dell’ascolto e del ritorno

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,1-6.16-18)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Commento

Con la liturgia del Mercoledì delle ceneri, caratterizzata dal gesto suggestivo dell’imposizione delle ceneri, diamo inizio solennemente al tempo santo ed austero della Quaresima. Un tempo forte, di quaranta giorni, in cui guidati dalla Parola di Dio, dalla preghiera, dalla penitenza e dalle opere di carità, siamo invitati a riscoprire la bellezza della nostra dignità battesimale, che risplende ancora più luminosa per mezzo del cammino di conversione dal peccato alla grazia, che tutti siamo invitati a intraprendere con decisione. Prendendo spunto dall’episodio della Trasfigurazione, il Santo Padre nel messaggio per la Quaresima 2023, così ci invita a viverla: “In questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi” (Messaggio per la Quaresima 2023 “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”). La Quaresima, dunque, vuole essere in qualche modo un tempo di “fuga” dalle distrazioni, dall’attivismo, dalle preoccupazioni che soffocano il nostro cuore, per ritrovarci di più con il Signore nello spazio sacro del dialogo amoroso e filiale con Lui. La quaresima, come ci dice ancora Papa Francesco, è tempo di ascolto di Dio che ci parla: “E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare  sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto”. Questo incontro forte con il Signore, tuttavia, non deve allontanarci dalla realtà, ma come ci ricorda ancora il Pontefice, esso non può tradursi nel “rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La quaresima, dunque, attraverso l’ascolto, il riconoscimento umile delle proprie fragilità e peccati, delle proprie incoerenze ed inconsistenze, ci aiuta a rimanere con i piedi ben ancorati sulla terra, riconducendoci a ciò che in noi è vero ed essenziale: siamo polvere ed in polvere ritorniamo. Se vogliamo costruire davvero qualcosa di stabile, che non passa, che ci apre le porte dell’eternità, dobbiamo rimettere Dio al centro della nostra vita. L’elemosina, il digiuno e la preghiera sono le armi spirituali attraverso le quali, ascoltando Lui, nell’intimità del nostro cuore, possiamo riequilibrare il nostro rapporto con il prossimo (elemosina), con chi è nel bisogno, vincendo l’egoismo e l’autoreferenzialità, con noi stessi (digiuno), controllando le nostre passioni, liberandole dagli attaccamenti disordinati e con il Padre (preghiera), ritornando a Lui con tutto il cuore, in quel dialogo profondo che già da questa terra è anticipo dell’eternità. Buona quaresima di ascolto e di conversione a tutti!

Leggi il testo completo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2023

VII domenica del T.O./A: Dall’ordinario allo straordinario

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 5,38-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Commento

Gesù prosegue nel brano di questa domenica con il suo insegnamento di giustizia superiore, che va oltre quella degli scribi e dei farisei. Come si commentava domenica scorsa, la sua intenzione è quella di andare oltre la pura osservanza letterale della legge antica, per rivelarne lo spirito, il cui nucleo è dato dall’amore vero. Attraverso le due ulteriori antitesi che ci vengono proposte, Gesù tocca due nervi scoperti delle relazioni umane, il tema della reazione al male e alle offese subite e quello della gestione dei rapporti difficili. In primis, partendo dalla cosiddetta “legge del taglione”, già presente nel codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.) e che trova piena accoglienza nell’Antico Testamento (Es 21,23-25; Lv 24,19-20; Dt 19,18-21), Gesù presenta una prospettiva nuova, rispetto al modo di reagire al male subíto. Bisogna anzitutto dire che, sebbene con la nostra mentalità “evoluta” oggi riteniamo questa legge antica come primitiva, inumana e dura, nell’antichità essa aveva introdotto una proporzionalità nel modo di reagire alle offese ricevute, che era tutt’altro che primitiva. Dalla vendetta incontrollata e sproporzionata, mediante questa regola, si poneva un limite alle reazioni, che non potevano mai superare l’intensità delle offese subite. Si tratta senza dubbio dell’introduzione di una scelta di giustizia, che pone un freno all’istinto vendicativo. Questa esigenza di giustizia, dunque, diviene un invito per noi a riflettere su un aspetto importante, non contraddetto dall’insegnamento di Gesù: prima di amore e carità, come uomini e ancor più come cristiani, non possiamo mai prescindere dalle esigenze della giustizia. Senza il presupposto della giustizia, non si può mai parlare di carità. Una carità che non contenga in sè stessa la giustizia, non può mai configurarsi come carità. La proposta di Gesù, infatti, non vuole mai mistificare il male ricevuto, nascondendolo o addomesticandolo, quanto piuttosto propone di chiamarlo per nome e di reagire ad esso con una forza superiore, quella del bene. San Paolo ben commenta nella Lettera ai Romani: “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. […]Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,17.21). Rispetto a quelle difficoltà di rapporto, che si possono incontrare nelle nostre famiglie, nelle compagini sociali, come persino nelle nostre comunità ecclesiali, le cosiddette “inimicizie”, la proposta di Gesù ci invita a superare il semplice approccio simmetrico (ama chi ti ama e odia chi ti odia), scegliendo l’amore per i nostri nemici. La ragione sta tutta nel guarare in alto, al modo in cui Dio Padre si pone con l’umanità. Lui non fa preferenze, dona a tutti sempre allo stesso modo, sia ai giusti che agli ingiusti, dando loro la possibilità di ravvedersi e di cambiare. Ovviamente, tutto ciò ha a che vedere con la santità. Ogni giorno ci si ripropone la questione: come voglio vivere? Mi basta comportarmi in modo ordinario, accontentandomi di non fare nulla di male, oppure voglio andare nello straordinario, seminando amore, perdono e riconciliazione, come fa il Padre che è nei cieli?

VI domenica del T.O./A: La giustizia superiore dell’amore vero

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 17-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Commento

La pagina evangelica di questa domenica si presenta densissima e molto graffiante. Gesù , come nuovo Mosè, ci riporta al cuore stesso della legge. Non è sufficiente un’osservanza che sia puramente superficiale ed esteriore, ma occorre scendere nella profondità di quei precetti che Dio ha donato ad Israele, per indicare la retta via e rimanere nel recinto dell’amicizia con Lui. Le degenerazioni del fariseismo e degli studiosi della legge rendevano schiavi della lettera, Gesù viene ad illuminarci sul cuore stesso di questa legge, che è la giustizia superiore dell’amore vero. Essa germina in qualcosa di ancora più profondo dei gesti esteriori, tocca la parte più intima dell’uomo, dal quale sorgono le intenzioni più sante, ma anche i progetti di male più abominevoli. Attraverso le cosiddette antitesi, Gesù riprende alcuni passaggi noti e chiari della legge antica e li rilegge in modo approfondito e radicale, gettando luce nelle  mozioni più profonde del cuore. Si può essere assassini, infatti, pur non uccidendo materialmente nessuno, quando nel cuore si coltivano odio, rancore, vendetta, si cancella l’esistenza dell’altro, si pensa male di lui, lo si vede come un nemico. Finché siamo in questo mondo, vincendo noi stessi e confidando nella grazia, siamo sempre in tempo per correggere il tiro di queste radici di morte che si annidano in noi. Si può essere adulteri, pur senza consumarne l’azione, quando lo sguardo apre il cuore a desiderare un altro o un’altra, mentre si è nel vincolo santo del matrimonio, oppure pur non essendolo, si desidera chi lo è con un altro o un’altra. Non si è nella verità dell’amore, quando l’altro si considera un oggetto da possedere o cambiare a piacimento, svuotando il senso delle relazioni più vere. La parola umana richiede linearità e trasparenza, senza bisogno di sotterfugi, per mostrare la propria credibilità. Se il nostro comunicare è privo di ambiguità e doppiezze, non diamo spazio alla menzogna e alla finzione di avvelenare la nostra vita. Sono esigenze certamente alte quelle che Gesù ci propone nel suo insegnamento. Sappiamo, però, che questo percorso di interiorizzazione della vera giustizia, non è frutto del nostro sforzo, ma della luce dello Spirito che agisce in noi. Con Sant’Agostino, trasformiamo questa nostra riflessione in preghiera: “Ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della tua misericordia. Da’ ciò che comandi e comanda ciò che vuoi” (Confessioni, X, 29.40)