Ascendit ad caelos, sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis
di don Emanuele Spagnolo

Pietro Perugino, Ascensione, sec. XVI.
“Dov’è Gesù?”. A molti di noi sarà capitato, forse, di ascoltare questa domanda. Da nostro figlio, dai nostri ragazzi del catechismo, a scuola. Abbiamo forse risposto prontamente: “E’ in cielo”. Le cose si sono tuttavia complicate quando i nostri ragazzi e i nostri giovani, a scuola, hanno sentito parlare dai loro insegnanti di universo, di navette spaziali, di pianeti. Quel cielo che ha sempre rappresentato lo spazio di Dio, di Qualcuno che è oltre le nostre idee e i nostri spazi è divenuto oggetto di studio, ipotesi, analisi, fino ad essere abitato dall’uomo, che ha anche camminato sulla luna. Abbiamo sbagliato a rispondere? No, o meglio, non completamente. Il catechismo della Chiesa cattolica, commentando il sesto articolo del credo ci dice che “Gesù salì al cielo, e siede alla destra del Padre”, specificando che il suo corpo pienamente umano “è stato glorificato fin dall’istante della risurrezione” (CCC 659). Una prima affermazione importante: quel Gesù che ha camminato storicamente le strade della Palestina, che è vissuto in un tempo storico preciso, così preciso da essere ricordato anche al di fuori delle cronache cristiane, è il Gesù che oggi siede alla destra di Dio. Non c’è un Gesù prima e un Gesù dopo la Risurrezione. Un Gesù terreno e uno divino. Lo stesso Gesù, con tutta la sua umanità è oggi immerso nella Trinità, e questo coinvolge anche noi. Infatti da quando il Risorto, il giorno dell’ascensione, è ritornato al Padre “un pugno di terra è nella Trinità” (B. Forte). Noi, le nostre paure, le nostre fragilità, tutto ciò che di più umano ci riguarda (eccetto il peccato) non è sconosciuto a Dio, ma anzi è perennemente di fronte a Lui nel Figlio Gesù. E qui il Catechismo entra più nel particolare, dicendoci che l’ascensione “resta strettamente unita alla discesa dal cielo realizzata nell’Incarnazione” (CCC 661). Il Padre “nella pienezza dei tempi” (Gal 4, 4) mandò suo Figlio, vero uomo, nato da donna, per abitare ogni spazio della nostra umanità povera e fragile. Si compiva così in pienezza il mistero delle nozze tra Dio e il suo popolo, inaugurato nell’Antica Alleanza – “Io sarò il vostro Dio che vi ho fatto uscire dall’Egitto, e voi sarete il mio popolo” (Lv 26, 12-13) – e resa eterna dal Risorto che invia la sua Comunità: “Andate, Io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20). L’Ascensione chiude questo circolo di Grazia che ha ridato all’uomo la sua vicinanza con Dio: l’uomo Gesù, vero Dio, ritorna al Padre come era dal principio. Ma c’è anche un secondo significato che la Scrittura ci consegna, nell’auspicabile desiderio di leggere la storia della Salvezza con uno sguardo cristologico che i Padri ci hanno insegnato. Questo Gesù che ritorna al Padre dopo la Risurrezione porta con sé una vera umanità, come già abbiamo accennato. La Trinità, che è amore pieno e coinvolgente fa spazio, si dilata, perché tutto di noi sia compreso e amato, e faccia parte di questa pienezza. Ciò è molto simile ad un altro gesto trinitario di amore: nella Creazione, come la tradizione ebraica descrive, Dio crea “contraendosi”, facendo spazio in sé alla creatura. Lo “zimzum” (così in ebraico) è “l’atto del contrarsi, quel farsi piccolo dell’Immenso che consente alla creatura di esistere davanti all’Altro nella libertà, come una madre accoglie una nuova vita nel suo seno” (B. Forte, Le quattro notti della Salvezza, Cinisello Balsamo 2006, 14). E come Adamo nella prima creazione è entrato nello spazio di Dio, Gesù Risorto il nuovo Adamo, abita lo stesso spazio trinitario di Amore riportando l’umanità alla “santità della sua prima origine” (dalla Liturgia). Conclude così il Catechismo: “Soltanto Cristo ha potuto aprire all’uomo questo accesso, per darci la serena fiducia che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria” (CCC 661). Il cielo è lo spazio della speranza. Una speranza incrollabili e salda, perché fedele è colui che ha promesso di unirci al Padre, come unico Mediatore di Salvezza e di vita.
“Il cielo è lo spazio della speranza”. Bellissimo. Infonde davvero tanta speranza nel cuore. Del resto l’uomo, istintivamente, volge gli occhi al cielo… proprio quando gli sembra che non ci sia più nulla in cui sperare.
"Mi piace""Mi piace"