remissionem peccatorum
di don Giacomo Antonicelli
Tra gli affreschi che decorano il Battistero del Duomo di Siena ci sono gli articoli del Simbolo degli Apostoli realizzati, fra il 1450 e il 1453, da Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta. Il decimo Articolo “credo la remissione dei peccati” è raffigurato attraverso un tempietto molto rudimentale, nel quale si può ammirare un sacerdote che amministra il sacramento della riconciliazione e nella parte destra un catecumeno in procinto di immergersi nel fonte battesimale. Le due immagini sono significative perché ci fanno comprendere immediatamente che ogni uomo nella Chiesa può ottenere la remissione dei peccati innanzitutto attraverso il Battesimo, che secondo il doppio simbolismo dell’acqua ci purifica dal peccato e ci fa rinascere a vita nuova, e poi con il sacramento della Penitenza, definito dai padri “battesimo laborioso”, in quanto ripristina la grazia battesimale venuta meno a causa del peccato. Nel credo niceno-costantinopolitano la stessa verità di fede è formulata attraverso le parole: “Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati” evidenziando esplicitamente l’azione salvifica del Battesimo. Anche San Pietro, nel giorno di Pentecoste alla folla sconvolta dalla sua predicazione, dichiara: “Convertitevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati” (At 2,38).

Perugino, Consegna delle Chiavi a san Pietro (part.), Cappella Sistina, Vaticano.
Certo attraverso il Battesimo il peccato è vinto, ma non è completamente debellato, la “concupiscenza”, cioè l’inclinazione a peccare continua ad essere presente, ecco allora che Cristo ha previsto una seconda ancora di salvezza, inviando i suoi apostoli a predicare “la conversione e il perdono dei peccati” (cfr. Lc 24,47) e ad esercitare “il ministero della riconciliazione” (cfr. 2Cor 5,18): “ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20,22). La Chiesa, dunque, ricevendo “le chiavi del Regno dei cieli” continua l’opera salvifica di Cristo, che passò tra gli uomini perdonando i peccati (cfr. Mc 2,5; Lc 7,48). Occorre precisare che se l’opera del diavolo è far coincidere il peccato con la persona, a tal punto da identificarlo con essa, l’opera di Dio distingue il peccato, che è una realtà spuria, aggiunta, frutto delle passioni dell’uomo e della “invidia del demonio” (Sap 2,24), dal peccatore, che nonostante le cadute, i limiti umani rimane sua creatura e conserva la dignità di figlio. Se il peccato va condannato, il peccatore va aiutato a ravvedersi affinché si converta e viva. Pertanto, credere “nella remissione dei peccati” significa “non disperare mai dalla misericordia di Dio”, così come afferma san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua “Regola”, credere che Dio è sempre pronto a perdonare a chi con il cuore contrito e umiliato si avvicina a Lui e chiede attraverso i suoi ministri di essere assolto. Può sembrare paradossale ma più il battezzato si avvicina a Dio e più riconosce i propri peccati e avverte la necessità di essere perdonato nella Chiesa e mediante la Chiesa, più si allontana da Lui e più giustifica i suoi errori, conformandosi alla mentalità del mondo (cf. Rm 12,2), pensando “tanto fanno tutti così”, “non sono né il primo e né l’ultimo”. Se il mondo permette tutto ma non perdona nulla, la Chiesa perdona sempre tutto (cfr. G. K. Chesterton), poiché se nella Chiesa non ci fosse la remissione dei peccati, “non ci sarebbe nessuna speranza: nessuna speranza di una vita eterna e di una liberazione eterna” (S. Agostino, Sermo 213,8).