
L. Seitz, Buon Pastore, Cappella funeraria di Pio IX, Cripta di San Lorenzo, Roma
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Breve commento
La IV domenica del tempo di Pasqua è tradizionalmente collegata all’immagine di Gesù Buon Pastore, come ci viene offerta dalla tradizionale lettura del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni. Il breve brano evangelico che ci è proposto, tratto proprio da quella parte del IV Vangelo, in poche pennellate ci conduce nelle profondità del cuore di Cristo, il Vero Pastore, in quella relazione unica e insostituibile con le sue pecore, che ascoltano la sua voce, sono docili ai suoi comandi, sono da lui conosciute singolarmente e intimamente e lo seguono con tutta la loro esistenza. Nessuno, come Cristo, ci conosce così in profondità: Egli è – come scriveva Sant’Agostino – “interior intimo meo” (Confessioni, III,6,11), ossia più intimo a me di me stesso, perché sa cosa c’è nel cuore dell’uomo. In un cammino simile a quello di una spirale ascendente, il discorso di Gesù prosegue: Egli dà alle sue pecore la vita eterna, ossia non quella semplicemente biologica, ma quella dello Spirito, che non conosce fine e limiti. I nemici non potranno prevalere su queste pecore, perché Cristo le sostiene: chi è in Lui, non può andare perduto, perché Egli lo tiene per mano. Né la persecuzione, né la morte, possono distruggere il gregge di Cristo. Chi aderisce a Lui liberamente e convintamente, rispondendo alla sua chiamata nella fede, non ha nulla da temere. La forza del rapporto di Cristo Pastore con le sue pecore deriva da una comunione ancora più profonda e intensa, quella della Trinità, tra Cristo e il Padre. Proprio il Padre, Fonte di ogni santità, dalla cui volontà deriva il disegno universale di salvezza, affida al Figlio, nello Spirito, la sorte del gregge, che è la Chiesa. L’identità di questo pusillus grex (piccolo gregge), che è la Chiesa, sgorga dalla Trinità, in cui il Padre e il Figlio sono una cosa sola. In Dio non c’è divisione e dispersione: il Padre e il Figlio sono una cosa sola, quindi quanto più ci si riconosce pecore di questo ovile, tanto più si può sperimentare questa unità in se stessi e nella comunità, che è partecipazione alla comunione profonda di Dio Trinità. Scrive Thomas Merton: “La prima cosa che devi fare, ancor prima di cominciare a pensare a cose quali la contemplazione, è cercare di recuperare la tua naturale unità di fondo, riprendere il tuo essere frammentato e ricomporlo in un insieme coordinato e semplice, e imparare a vivere da persona umana unificata. Questo significa che devi rimettere insieme i frammenti della tua esistenza distratta, in modo che quando dici «io», ci sia realmente qualcuno presente a sostenere il pronome che hai pronunciato” (L’esperienza interiore, Cinisello Balsamo, 2005, p. 27).
Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)
Essere conosciuti da Gesù
Gesù, il buon pastore, dice di sé che conosce i suoi. Essere conosciuti da Gesù significa la nostra beatitudine, la nostra comunione con lui. Gesù conosce solo coloro che ama, coloro che gli appartengono, i suoi (2 Tm 2,19). Ci conosce nella nostra qualità di perduti, di peccatori, che hanno bisogno della sua grazia e la ricevono, e al tempo stesso ci conosce come sue pecore. Nella misura in cui ci sappiamo da lui conosciuti e da lui soltanto, egli si dà a conoscere a noi, e noi lo conosciamo come colui a cui solo apparteniamo in eterno (Gal 4,9; 1 Cor 8,3). II buon pastore conosce le sue pecore e solamente esse, perché gli appartengono. Il buon pastore, e lui soltanto, conosce le sue pecore, perché lui solo sa chi gli appartiene per l’eternità. Conoscere Cristo significa conoscere la sua volontà per noi e con noi, e farla; significa amare Dio e i fratelli ( 1 Gv 4,7s.; 4,20). È la beatitudine del Padre riconoscere il Figlio come figlio, ed è la beatitudine del Figlio riconoscere il Padre come padre. Questo riconoscersi reciprocamente è amore, è comunione. Ugualmente, è la beatitudine del Salvatore riconoscere il peccatore quale sua proprietà acquistata, ed è la beatitudine del peccatore riconoscere Gesù quale suo Salvatore. Per il fatto che Gesù è legato al Padre (e ai suoi) da una tale comunione di amore e di conoscenza reciproca, per questo il buon pastore può deporre la propria vita per le pecore e acquistarsi così il gregge quale sua proprietà per tutta l’eternità.
(D. BONHOEFFER, Memoria e fedeltà, Magnano, 1979, 163s.).
Preghiera a Gesù Buon Pastore
O Gesù buon Pastore,
nei santi apostoli Pietro e Paolo
hai dato alla tua Chiesa
due modelli di Pastori
secondo il tuo cuore.
Fa’ che, sul loro esempio
e confortati
dalla loro testimonianza,
impariamo ad amare
e servire i fratelli
con gioia e gratuità.
O santi apostoli Pietro e Paolo
intercede per noi,
affinché possiamo vivere
in comunione nelle diversità dei doni e dei ministeri.
Amen!
(Dagli scritti di don Alberiore)
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