
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 10, 26-33)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».
Breve commento
Il brano evangelico che la Chiesa ci propone in questa domenica è parte del “discorso missionario”, che occupa i capitoli 9 e 10 del Vangelo secondo Matteo. La prima parte di questo discorso annuncia un aspetto sempre presente nella vita del discepolo, quello della persecuzione, cui fa seguito nel nostro brano un forte invito al coraggio e alla fiducia in Dio. Per comprendere bene il senso di questi versetti, dunque, è necessario richiamare quanto Gesù annuncia immediatamente prima: “Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore” (Mt 10,24-25). La chiave di lettura, sia delle persecuzione che del coraggio, è offerta dal confronto costante con la persona di Cristo. Se Lui, il Maestro e il Signore è stato perseguitato e ucciso, il discepolo non può aspettarsi una sorte diversa. Nonostante questo, proprio in virtù della sua vittoria pasquale, l’ultima parola è data alla fiducia e alla speranza, sempre. Per ben tre volte nei pochi versetti del brano, come in un concentrato di speranza, Gesù ripete l’invito a non avere paura, a non temere. Quando si ha un cuore limpido e trasparente, totalmente orientato a Lui, non c’è niente da temere, perché Dio ne conosce le intenzioni e i pensieri. Davanti a Lui, infatti, tutto è nudo e trasparente, sia le motivazioni intime di chi compie il bene, sia quelle di chi trama il male contro Dio e contro il proprio fratello. Subito dopo Gesù smaschera quella che anche nel discepolo può essere la tentazione del “politicamente corretto”, ossia l’arte del “detto-non detto”, il modo di fare ambiguo di chi per paura di urtare la sensibilità altrui, edulcora la verità. Nel Vangelo non c’è spazio per questo modo di fare. Come Gesù ci ha detto in un altro passaggio, il nostro parlare deve essere “si sì, no no” (Mt 5,37), senza compromessi! Parlando del suo amico e maestro Platone, Aristotele affermava: “Amicus Plato, sed magis amica Veritas” [Platone è mio amico, ma la Verità mi è più amica] (Aristotele, Etica Nicomachea, I, 4, 1096 a 16]. Fuor di metafora, Gesù ci invita a dire sempre la Verità, che è Lui stesso, oltre ogni rispetto umano! Questo naturalmente ha un costo, che può arrivare fino alla testimonianza estrema del martirio! Quanti martiri ci sono oggi nel mondo, che pur non occupando le prime pagine dei giornali, sono disposti a perdere la vita pur di non tradire Cristo!

Noi, nella nostra quotidianità, nelle nostre relazioni, nel nostro lavoro, nella nostra famiglia, siamo disposti a perdere qualcosa per amore di questa Verità? L’iniezione di fiducia che Gesù fa ai discepoli nel saper affrontare le persecuzioni con coraggio, poi, prosegue con la presentazione di due esempi molto semplici e alla portata di tutti: quello dei passeri, che pur essendo gli uccelli commestibili più piccoli di tutti, non cadono in terra senza che Dio lo permetta e quello dei capelli del nostro capo, che pur essendo innumerevoli, sono conosciuti da Dio nel loro numero esatto. Un Dio così attento e provvidente, in altre parole, non abbandona mai i suoi figli, che sono immagine e somiglianza sua (cfr. Gen 1,26), specialmente quando sono disposti a mettersi seriamente in gioco per la testimonianza del suo Regno.
Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)
Ma che cosa significa testimoniare? Che cosa dobbiamo testimoniare? Poiché la testimonianza è di Cristo, ciò che la tua vita deve esprimere è il riferimento a Lui, l’orientamento costante e fedele a Lui. L’ideale della testimonianza non è semplice “coerenza” con certi principi, se questa richiama solo alla tua bravura personale, alla tua correttezza, alla tua onestà. Questi valori, e molti altri, sono validi parzialmente, ma sono veri fino in fondo e possono essere vissuti davvero solo nel riferimento ad un Altro. Solo allora correttezza e bravura diventano testimonianza di Cristo, e tu sei non soltanto una “brava persona” ma anche un vero “testimone”. Ciò è importante anche per un altro aspetto: l’inevitabile presenza del male nella nostra vita, un male che è incoerenza e controtestimonianza. Anche qui l’ideale è rendere presente un altro, che è più grande del nostro male, ed è origine del nostro bene, e continuamente ci perdona e ci rinnova. Se aspettassimo ad essere pienamente coerenti per testimoniare, non cominceremmo mai. Il cuore della testimonianza cristiana è, dunque, la Persona di Cristo: Lo annunciamo, perché una Persona ed una storia si indicano e si raccontano; Lo annunciamo, perché sia chiaro che è Lui il centro e l’origine di quanto cerchiamo di vivere. Lo annunciamo, perché possa affascinare altri come ha affascinato noi
(A. MAGGIOLINI, Regola di vita cristiana per i giovani)
Preghiera
Dammi coraggio per non negare di conoscerti, quando i colleghi ridono parlando di te come di un mito e dei tuoi seguaci come di gente alienata. Dammi forza per non spaventarmi, quando mi accorgo che essere coerente con il tuo insegnamento può significare essere un perdente e trovare sbarrate molte strade nella società. Dammi la gioia di sapermi con te, quando resto isolato dagli amici che ritengono una perdita di tempo la preghiera e l’eucaristia. Dammi la fortezza per superare ogni rispetto umano, per non vergognarmi del vangelo, quando essergli fedele comporta il sentirmi “diverso” dalla grande folla che fa opinione e costume. Fammi, o Signore, testimone del tuo amore!
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