
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 11, 25-30)
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Breve commento
I versetti del brano evangelico di questa domenica sono come la vetta di un’altissima rivelazione che Gesù offre ai suoi discepoli. Egli rende lode al Padre, origine e fonte di tutte le cose terrestri e celesti, perché ha scelto i piccoli come destinatari dei grandi insegnamenti del Vangelo, nascondendone il vero senso ai sapienti e ai dotti. Gesù svela la logica del Regno: non sono i grandi, quelli che il mondo considera tali, per studio, professione, ruolo sociale, ma i piccoli, i semplici, gli umili, coloro che non stanno sulla cresta dell’onda mondana, ad essere i veri conoscitori di Dio. La storia della santità cristiana è piena di esempi di gente analfabeta e senza titoli di studio che è stata capace di accogliere la rivelazione di Gesù, giungendo alle più alte speculazioni della dottrina teologica e spirituale. Guardando attentamente le nostre comunità cristiane, possiamo fare esperienza diretta di questo modo di procedere di Dio: spesso proprio le persone più semplici, le vecchiette del rosario, gli ammalati, i disabili, gli emarginati, coloro che le prime pagine dei giornali non conoscono e non conosceranno mai, sono l’esempio di questa sapienza semplice e alta, non fatta di complesse erudizioni teologiche, ma impregnata di una vera conoscenza di Dio. Sono sempre illuminanti le parole dell’Apostolo Paolo: “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1,26-28). La scelta di Dio, è proprio ciò che Egli ha disposto nella sua volontà, quella che Gesù chiama la sua benevolenza (eudokìa), ossia quanto di meglio Egli potesse decidere per rendere gli uomini partecipi della sua vita divina. Il cammino di rivelazione e di conoscenza del Padre non può prescindere dalla persona del Figlio, il vero rivelatore del suo volto (cfr. Gv 1,18). Non c’è altra strada per arrivare a Dio, se non Cristo Gesù. San Paolo VI, in una delle sue preghiere più belle, scriveva: “O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario: per vivere in Comunione con Dio Padre; per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi; per essere rigenerati nello Spirito Santo. Tu ci sei necessario, o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo” (Lettera all’Arcidiocesi di Milano “Omnia nobis est Christus” per la Quaresima 1955). L’invito che il Maestro fa ad andare a Lui, rivolto a tutta l’umanità, stanca e oppressa, è un richiamo alla speranza che solo Lui può alimentare, dove ciascuno può trovare il vero ristoro. Chi ha avuto la gioia di poter assaporare il silenzio e la preghiera profonda in compagnia di Gesù, sa che esperienza rigenerante e trasformante essa sia, anche in mezzo alle sofferenze e alle prove della vita. Forse dovremmo ricordarcene un po’ più spesso, presi ogni giorno da mille distrazioni: solo in Lui possiamo trovare la vera pace e il vero ristoro dell’anima. Il celebre inno Jesu dulcis memoria attribuito a San Bernardo ce lo rammenta con molta profondità: “Dolce pensiero di Gesù, che da la vera gioia al cuore, ma più del miele e di ogni altra cosa, è dolce la sua presenza”. L’immagine che Gesù utilizza per sottolineare questo legame con Lui, potrebbe risultare come una nota un po’ stonata: il Maestro infatti parla di giogo, quello strumento con cui gli animali, posti in cattività, devono muovere qualcosa in una direzione determinata, come ad esempio i buoi fanno con l’aratro. Il giogo di Gesù, però, è leggero, perché Egli lo porta con noi e ci conduce alla felicità senza fine. Lasciarsi portare dal Maestro è il segno della vera maturità spirituale. È questo che Gesù comunicò a Pietro, secondo la narrazione finale del Vangelo di Giovanni: “quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi»” (Gv 21,18-19).

Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)
Cristo è ancor oggi per noi un maestro mite e colmo d’amore per gli uomini che continua a prendersi cura della nostra salvezza. Lo dichiara apertamente nei vangeli come abbiamo appena letto: «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29). Quant’è grande la condiscendenza di colui che ci ha fatto! La creatura non abbia timore! Venite, imparate da me. Il Signore è venuto a consolare i suoi servi che erano caduti. Ecco come si comporta Cristo: si mostra pieno di compassione; sebbene il peccatore dovesse essere punito, sebbene la stirpe di quelli che provocavano la sua ira dovesse essere annientata, egli rivolge parole di pace ai colpevoli. «Venite, imparate da me, perché sono mite e umile di cuore» (Ibidem). Dio è umile, l’uomo orgoglioso. Il giudice è clemente, il colpevole superbo. Le parole dell’artefice sono umili, quelle dell’argilla sembrano quelle di un re. […] Venite, osservate la sua ineffabile bontà. Chi non amerà il Signore che non colpisce? Chi non ammirerà il giudice che supplica a favore del colpevole? La semplicità delle sue parole ti stupisce. «Io sono il Creatore e amo la mia opera. Io sono l’artista e ho cura di ciò che ho plasmato. Se volessi ricorrere alla mia autorità, non libererei l’umanità caduta; se non curassi la sua malattia incurabile con farmaci appropriati, non guarirebbe; se non la confortassi, morirebbe; se mi limitassi a minacciarla, perirebbe. Per questo motivo pongo su di lei che giace a terra l’unguento della bontà. Mi piego su di lei pieno di compassione per rialzarla dalla sua caduta. Chi sta in piedi non può rialzare da terra chi è caduto se non si china a tendergli la mano. «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore». Non dico parole vane vi ho mostrato le mie opere; il «perché sono mite e umile di cuore» vedilo da ciò che sono diventato. Guarda la forma, pensa alla dignità e venera la mia condiscendenza a causa tua. Pensa da dove sono venuto, dove mi trovo a conversare con te. Il cielo è il mio trono e io sto a parlare con te. Nell’alto sono glorificato e nella mia paziente bontà non mi adiro «perché sono mite e umile di cuore» (PSEUDO-GIOVANNI CRISOSTOMO, Basso martire, in PG 50,721-722).
Preghiera
A volte, Signore, la piccolezza del mio essere creatura mi appare inadeguata e insufficiente a contenere i miei più grandi desideri. E faccio di tutto per rompere quelli che avverto come limiti al mio bisogno di espandermi, di ‘sentirmi grande’: essere più degli altri, ricevere più degli altri, contare più degli altri. Tu vieni incontro a questo prepotente bisogno di emergere e mi proponi di metterlo a servizio dell’amore, facendomi l’ultimo di tutti, il servo di tutti, il più pacifico, il più mite, il più misericordioso, accogliente verso tutti… Manda dall’altro il tuo Spirito di sapienza, perché faccia della mia vita un’opera di pace.
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