“Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno”
di don Antonio Zaccara

Le parole di San Pietro Crisologo, che ho scelto come titolo di queste riflessioni (cfr. Discorso 43: PL 52, 320), costituiscono una valida sintesi per esprimere con chiarezza il senso di una pratica che oggi sembra aver perso il suo carattere penitenziale a favore di una valenza relativa all’ambito del benessere psico-somatico.
Nel contesto cristiano, il digiuno è uno dei tre pilastri, insieme alla preghiera e all’elemosina, che il Signore Gesù indica ai suoi discepoli per “praticare la giustizia davanti agli uomini e ricevere ricompensa dal Padre celeste” (cfr. Mt 6, 1-18).
Per questo, il digiuno come pratica della giustizia davanti agli uomini in vista della ricompensa del Padre celeste è effettivamente un’azione che può comportare privazione, sacrificio, prova della volontà, ma ha un obiettivo chiaro e preciso: la ricompensa del Padre celeste.
Il tempo di Quaresima è il tempo per eccellenza in cui misurarsi sulla preghiera, l’elemosina e il digiuno. La pratica consueta dei “fioretti” non è altro che un modo per esercitare la volontà a dirigersi sempre più verso Dio e il compimento del suo progetto di felicità su di noi.
La parola digiuno immediatamente rimanda all’idea di una privazione, di un sacrificio, di un’azione che mette alla prova le capacità umane rispetto ad un obiettivo specifico.
Il digiuno rientra a pieno titolo tra queste pratiche che sostengono il cristiano in quel continuo bisogno di conversione al Regno di Dio, al perdono dei peccati, all’implorazione dell’aiuto di Dio e al rendimento di grazie e di lode al Padre (cfr. CEI, Nota Pastorale: Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, Roma 21 ottobre 1994).
Inoltre, il tema del digiuno rimanda inevitabilmente alla relazione che ognuno di noi ha con il proprio corpo, con i beni materiali e con tutti i mezzi che utilizziamo per raggiungere i nostri fini. La loro giusta considerazione di mezzi e non di fini è una conquista che a volte richiede la pratica del digiuno, intesa come rinuncia all’utilizzo o privazione volontaria, per recuperarne l’effettivo valore. Basti pensare a due esempi su tutti, quali il cibo e gli strumenti digitali che ultimamente rischiano di diventare i fini della nostra esistenza e non mezzi per rendere la nostra vita più bella e autentica.
Il digiuno aiuta a “mettere in ordine” le esperienze di vita o, meglio ancora, ricollocarle nella giusta dimensione del progetto di salvezza che Dio ha pensato per ciascuno di noi. Esso non può essere vissuto solamente come mero sforzo umano, ma deve diventare un “movimento esperienziale” attraverso cui riaffermare sempre di più la nostra dipendenza da Dio e sentirsi bisognosi di Lui. Questa dimensione viene richiamata dal Papa nel messaggio di Quaresima di quest’anno: “il digiuno vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono con semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, continua Francesco, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso” (FRANCESCO, Messaggio per la Quaresima 2021, n.2).
Con il digiuno, il cristiano riscopre il suo senso di creatura e di ricchezza data dalla misericordia di Dio. L’essere creature capaci di dare e ricevere misericordia è una scoperta che il digiuno e la penitenza possono far risaltare nel quotidiano perché consentono di condurre ogni situazione all’essenziale.
Chi pratica il digiuno in un cammino di vita cristiana non può fare a meno di sperimentare la fatica e la lotta per vivere una esperienza del genere ma tutto risulta relativo a motivo del fine e soprattutto della grazia che il Signore stesso dona durante questo tempo.
Romano Guardini scrive che “quando si digiuna il corpo viene per così dire allenato. Lo spirito si fa più libero… i confini della realtà entrano in movimento. Lo spazio del possibile si amplia. Lo spirito si fa più acuto nel sentire. La coscienza diviene più chiaroveggente, più fine e potente. Cresce il senso della decisione spirituale” (cfr. R. GUARDINI, Il Signore, Brescia 2016, 3rist., p. 54).

Dominando i nostri istinti e la libertà del nostro cuore con il digiuno, saremo in grado di avere uno sguardo su noi stessi e sulle realtà circostanti sempre più vicino a quello di Dio. Nel digiuno e negli esercizi di penitenza la nostra volontà viene continuamente orientata a confrontarsi con il Signore e gli effetti concreti si misurano nelle opere di carità.
E ritorniamo al punto di partenza… ogni pratica ascetica, digiuno, astinenza, penitenza deve sempre condurre ad un’animata vita di preghiera, ad una orientata crescita della libertà interiore ed ad una profonda capacità di dono di sé come esercizio di carità fraterna.
I mancati effetti su questi ambiti rischiano di rendere il digiuno un mero esercizio di autocompiacimento che può condurre lentamente ad un desiderio di autonomia e indipendenza rispetto alle realtà create e in ultimo allo stesso Creatore rendendoci aridi, stanchi, oppressi, delusi e angosciati.
Il digiuno è una pratica che ancor oggi all’interno della Chiesa ha la sua importanza per i motivi elencati e soprattutto richiede una nuova concretizzazione in base alle esigenze contemporanee. La privazione nell’ambito dell’utilizzo dei beni, la rinuncia a determinati cibi, l’imporsi ritmi di preghiera e di ascolto della Parola di Dio all’interno delle giornate sempre più frenetiche possono rientrare nella categoria del “digiuno” ed essere vissuti come mezzi che aiutano a rafforzare la nostra relazione e appartenenza a Cristo e la nostra apertura del cuore alle necessità degli altri.
Solo in questo modo il digiuno sarà davvero il preambolo e lo spazio di una preghiera che si fa autentica relazione con Dio e con i fratelli, e mezzo efficace per “sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, aprire il cuore all’affamato, saziare l’afflitto di cuore”, in modo da farci “brillare come luce in mezzo alle tenebre” (cfr. Is 58,6.9).