OMELIA 24 AGOSTO 2018 – II GIORNO DELLA NOVENA DI S. EGIDIO ABATE
Sono trascorsi ormai cinque anni, da quando, il 24 agosto del 2013, in questa Basilica minore, cenacolo della mia Pentecoste sacerdotale, sono stato ordinato presbitero da Sua Eccellenza reverendissima mons. Francescantonio Nolè, oggi Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano. Eppure, nonostante ciò, presiedere i Divini Misteri tra la mia gente, in questi giorni solenni di preparazione alla festa del nostro Santo Patrono, mi emoziona sempre, mi da gioia, riporta al mio cuore tutte le belle esperienze, che questo luogo santo, conserva come uno scrigno prezioso.
Sono tanti gli spunti di riflessione che ci vengono offerti quest’oggi: la festa di San Bartolomeo Apostolo, l’itinerario spirituale della novena, la vocazione presbiterale. Tre stimoli che meriterebbero una trattazione sistematica e densa, data la ricchezza che ciascuno di questi può offrire alla nostra formazione cristiana. Da dove iniziare? Toccare qui e lì ogni singolo argomento per essere formalmente perfetti, ma sicuramente superficiali? Oppure trovare un punto d’incontro, che senza snaturarne nessuno, ci permetta di cogliere il cuore della vita cristiana, che tenendo insieme il tutto come solida base, sostiene l’intero edificio spirituale. Qual è questo fuoco? Il Vangelo di Gesù, o meglio, il Vangelo che è Gesù. Solo il Vangelo ci permette di tenere insieme l’esperienza apostolica di Natanaele – Bartolomeo, quella di Egidio, che nella fedeltà al Cristo, ha risposto prontamente alla santità evangelica, e quella presbiterale, che innestata sul sacerdozio battesimale, riguarda tutti e non solo i ministri ordinati.
«Uno dei sette angeli mi parlò e disse: Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello» (Ap 21,9). Non so per quale motivo, ma questo invito dell’angelo all’autore di Apocalisse, mi ha sempre affascinato. Un invito ad andare, tanto simile a quel “seguimi” che profuma di Vangelo, che si aggiunge ad altri inviti, che sempre in Apocalisse, sia l’autore che il lettore, si sentono rivolgere. “Ascolta, guarda, mangia”, imperativi legati alla sfera sensibile, materiale, che però si concretizzano altrove, che ci spingono ad andare oltre il tempo e lo spazio, a pregustare la bellezza della dimora eterna promessa ai servi fedeli.
Vieni, ti mostrerò la sposa dell’Agnello. Non solo la bellezza e la solennità della Sposa (chiara immagine della Chiesa), ma il luogo promesso alla Sposa, il suo fine ultimo, il Regno dell’Agnello del quale essa è immagine e anticipazione. A tal proposito mi piace citare una delle pagine a mio parere più dense dell’ecclesiologia del 900’, scritta da uno dei più grandi teologi del secolo scorso, H. De Lubac:
«Sotto le agitazioni della politica ed i risucchi dell’opinione, sotto le correnti di idee e le controversie, lontano dai crocicchi e dalle piazze pubbliche, sfuggendo alle auscultazioni ed alle inchieste, continua a mantenersi, a trasmettersi ed a rinnovarsi una vita che è quasi impossibile poter giudicare dal di fuori. I ciechi vedono, i sordi odono, i morti risuscitano, i poveri sono evangelizzati. Il Regno di Dio splende nel segreto» (H. De Lubac – Meditazione sulla Chiesa).
Il Regno di Dio splende nel segreto, non nella visibilità degli applausi facili, non nell’ostinata ricerca di una notorietà a tutti i costi, che molte volte, forse troppe, ci porta ad abbassare l’asticella delle esigenze evangeliche, per essere certamente più originali e simpatici, ma sicuramente inutili e ridicoli, perché distanti anni luce dalle esigenze legate alla vita cristiana. Lontano dai crocicchi e dalle piazze pubbliche, non al centro del villaggio globale vantando progetti degni della migliore azienda sul mercato poiché, in fondo, il Cristo non ci ha mai chiesto di essere masse infinite o folle oceaniche, ma di accontentarci di essere lievito, granello di senape, seme; pusillus grex che possiede un tesoro in vasi di creta e che nella sua debolezza rivela la potenza dell’Altissimo.
Per realizzare tutto ciò, è però indispensabile voler piacere solo al Cristo, poiché la Sposa è solo dello Sposo, deve piacere solo ad esso. Non può e non deve piacere al mondo, perché il Regno di Dio non è di questo mondo, anzi questo mondo lo odia e lo perseguita. Certo, per piacere al Suo Sposo, la Sposa è chiamata a servire questo mondo, per condurlo a Cristo, non per conformarsi alla mentalità corrente che non sarà mai quella del Vangelo.
Quale è il servizio che rende la Sposa bella agli occhi dello Sposo? L’annuncio del Vangelo trasmessoci dalla testimonianza apostolica: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Annunciare e battezzare, Parola e Sacramenti, le uniche ricchezze che la Chiesa ha ricevuto dal Suo Signore e Maestro. Non c’è Chiesa senza annuncio e senza Eucaristia, poiché se è vero che la Chiesa fa l’Eucaristia, è altrettanto vero che è solo l’Eucaristia a fare la Chiesa. Tutto il resto è un di più che è possibile realizzare solo attingendo forza dal Sacramento dell’Altare dove il Cristo continuerà a donarsi fino alla fine del tempo, per permetterci di incontrarlo e riconoscerlo anche nei fratelli “ogni cosa che farete, l’avete fatta a me”. «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 34).
Per avverare questo c’è però solo una possibilità offertaci, avere fede, come Natanaele, Egidio e come ogni uomo che nei secoli ha deciso di donarsi totalmente a Cristo e ai fratelli per trasmettere ciò che a sua volta ha ricevuto in dono. «In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret”. Natanaèle gli disse: “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”» (Gv 1, 45-46). “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?”, una frase che presa così potrebbe risultare saccente e offensiva, quasi sacrilega, ma che in realtà ci mostra come avere fede è un continuo mettersi in gioco, un costante interrogarsi per rendere ragione della speranza che è in noi (Cf. 1Pt, 3,15), comprendere che il Vangelo non è un insieme di norme da rispettare o di precetti da osservare, ma è l’unica strada che l’uomo ha per una vita piena, bella e vera tesa a raggiugere la piena maturità di Cristo (Cf. Ef 4,13).
Una fede è sempre un atto che non esclude la ragione, ma che la richiede e la coinvolge totalmente poiché il Verbo si fece carne, il Logos, il pensiero, la ragione, si è fatto uomo nella persona di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, seconda persona della Santissima Trinità.
Papa Ratzinger, nel suo discorso a Ratisbona, pur essendo stato attaccato violentemente da chi, purtroppo non aveva e non ha le categorie per comprendere tali vette teologiche e culturali, ci ha lasciato una delle perle più preziose per vivere la nostra fede e per essere fedeli alla nostra vocazione battesimale: tutto ciò che è secondo ragione è secondo Dio; è questo il motivo che ha spinto il Logos a farsi carne, permettere all’uomo di riappropriarsi dell’immagine di Dio impressa in ciascuno nella creazione, ovvero l’armonia tra la creatura, il creato e il suo creatore.
«Un giorno da ciascuno di voi sboccerà l’angelo che voi sognate e ciò avverrà quando tra la vostra radice opaca, che vive nelle profondità della terra, e il sole divino si compirà il miracolo dell’identità e dell’unificazione, e allora sarete dei fiori, degli angeli nella Chiesa e nel mondo degli uomini. Tutte le cose che voi farete avranno un’impronta di vastità e di immensità, la vastità e l’immensità di Dio. E non vi perderete più in piccolezze, in meschinerie, in grettezze, ma il vostro pensiero avrà il passo di Dio, il vostro cuore avrà l’arco del cuore di Dio e le vostre opere saranno come le opere di Dio, sempre creative» (G. Vannucci – Il passo di Dio).
Latronico, 22.VIII.2018
don Antonio Donadio