
L’albero delle virtù in una raffigurazione medievale
Oltre ai commenti sul Vangelo della domenica e delle ricorrenze liturgiche, inizia oggi una rubrica settimanale, intitolata “L’uomo e la virtù“. In qualche numero vogliamo sviluppare una breve riflessione su cos’è la vita morale dell’uomo, qual è il valore della virtù nella costruzione della sua vita personale, per poi soffermarci su ciascuna virtù cardinale (prudenza, fortezza, giustizia e temperanza).
In un secondo ciclo rifletteremo sull’apertura alla vita della grazia e le virtù teologali (fede, speranza e carità).
L’uomo e la costruzione di sè
Che senso ha parlare oggi di virtù? È un termine che non entra più nel nostro linguaggio, non tocca più i nostri interessi. Eppure gli antichi avevano intuito che parlare di virtù era direttamente collegato alla felicità. L’uomo virtuoso è l’uomo felice, colui che ha raggiunto la propria maturità nella propensione al bene, che sa scegliere il bene e lo pratica con leggerezza e facilità. Se parlare di virtù sembra apparentemente superato, di certo non lo è parlare di felicità. Quanta sete di felicità c’è oggi! Possediamo tutto, ma nonostante ciò, siamo profondamente tristi, perché sperimentiamo il vuoto interiore. Le vite avvolte nella spirale del consumo, nella frenesia del fatturato, nell’ansia del possesso, si ritrovano spesso ad essere vuote di senso. Basta leggere un giornale, o guardare la tv, per avvertire tutto il dramma di quest’umanità che nonostante il progresso materiale sceglie la violenza, la bestialità e la cultura della morte. Già gli antichi filosofi, come il grande Aristotele, avevano intuito che l’uomo ha bisogno di costruire in sè stesso la vita buona, realizzando gli atti buoni di cui è capace, con intelligenza e volontà. L’uomo è persona, perché capace di costruire la propria interiorità, realizzandosi e orientandosi totalmente al bene. Ogni atto umano, ossia compiuto con intelletto e volontà, scelto e voluto, ha una ricaduta positiva sull’interiorità della persona e sugli altri. Il cambiamento del mondo e dell’umanità parte dall’attenzione alla propria interiorità, dove si registra una grande lotta tra il bene, cui l’uomo è naturalmente orientato, avendo in sé l’immagine e la somiglianza di Dio (Cfr. Gen 1,26) e la sua assenza, il vuoto, ossia il male, che Sant’Agostino chiama “privatio boni” (privazione del bene). Quando l’uomo sceglie ed attua il bene, cresce in questa propensione, realizzando in sé un habitus positivo, ossia una dimensione interiore stabile, la virtù appunto, che gli consente di agire più facilmente in quella direzione. Il Catechismo della Chiesa cattolica definisce le virtù come “attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell’intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L’uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene” (n. 1804). Fare tesoro di questo insegnamento di sempre dell’etica cristiana, può essere una strada di rinnovamento, una sfida positiva da accogliere e vivere, per porre in noi stessi un argine al male, seminando bene e positività.
Sempre attuali per l’uomo di ogni tempo e di ogni latitudine le parole del sommo poeta Dante Alighieri, che nel canto XXVI dell’Inferno poneva sulla bocca di Ulisse: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (vv. 118-120). Non possiamo vivere come bestie, ma come persone siamo fatti per la virtù e la conoscenza.
Nella prossima puntata, entreremo nel mondo delle virtù umane, esaminando la prudenza, la prima delle virtù cosiddette cardinali. Arrivederci alla prossima settimana….
Ho letto con entusiasmo, apprezzando l’argomento importante ed attuale. Condivido pienamente quanto asserito riguardo alla “disattenzione” che caratterizza la nostra società, improntata su principi poco legati,anzi a volte per niente, ai valori fondamentali dell’esistenza.
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