Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12, 28-34)

Gesù, i farisei e gli scribi, miniatura del XV secolo dal codice De Predis. Biblioteca reale di Torino.
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Breve commento
Seguendo il tg, sfogliando le pagine di un giornale o navigando fra le schermate di un portale online, ogni giorno siamo colpiti da un forte senso di frustrazione, a causa della valanga di notizie negative che ci vengono offerte: morti, violenze, catastrofi climatiche, incidenti, comportamenti deplorevoli, etc. La pagina del Vangelo di questa domenica ci offre una prospettiva differente, rivoluzionaria. Come rispondere alla spettacolarità del male, alla sua apparente vittoria? La domanda di questo scriba a Gesù sottolinea l’inquietudine dell’uomo sul senso della vita e della storia. Egli, come anche noi tante volte, si chiede: che cosa è veramente importante nella vita? Ammesso che abbiamo compreso che Dio, Creatore e Signore, può dare un senso alla nostra esistenza, come fare a rendere concreto e incisivo tutto questo? Non ci basta un “Dio dei filosofi”, un tassello che riempia l’edificio teorico della vita. Per essere felici ed uscire dall’angoscia, noi vogliamo incontrare il Dio vivo e vero, quello che ha un cuore di carne e che è capace di commuoversi per la nostra umanità, facendola uscire dal baratro e aprendole la via della salvezza. Per incontrare questo Dio, allora, si deve partire dall’ascolto. Il Dio di Gesù Cristo è un “Dio che parla”, non come gli idoli, di cui la Scrittura dice “hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono…” (Sal 114,5). Il nostro Dio vuole entrare in dialogo con l’uomo, come con un partner alla pari, per questo non ama i compromessi, ma si aspetta la pienezza del nostro amore: il cuore, l’anima, la mente e la forza. Non c’è nell’uomo la possibilità di scavarsi delle zone d’ombra: Dio ci chiede un coinvolgimento totale della nostra umanità, senza riserve. Contestualmente, un’umanità che si pone in questa prospettiva, non può rimanere chiusa in sè stessa, ma si apre all’altro, al fratello, con le sue necessità, le sue attese, ma prima di tutto riconoscendolo come dono. La santità, che è la pienezza dell’amore, non si realizza nel distaccarsi dagli altri, per andare verso Dio, ma al contrario, più si cresce nella comunione con Lui, più si sarà capaci di donarsi agli altri, senza indugi. Sant’Agostino ci ricorda: “(Se la Scrittura) narra di Cristo e raccomanda l’amore, è evidente allora che in quei due precetti riguardanti l’amore di Dio e del prossimo si raccolgono non solo tutta la legge e i profeti (la sola Scrittura esistente quando il Signore diceva quelle cose), ma anche tutti i restanti libri delle lettere divine, composti più tardi per la salvezza degli uomini e tramandati ai posteri” (Prima Catechesi cristiana, 4,8). Questa rivoluzione dell’amore – di cui l’umanità ha profonda sete -, non può ridursi soltanto ad un precetto morale, nè può essere frutto di uno sforzo volontaristico, ma trova la sua piena realizzazione e fonte perenne in Gesù, l’uomo-Dio, Crocifisso e Risorto per noi. Capirlo con la mente, come lo scriba, ci avvicina al Regno, ma entrarvi è tutta un’altra storia: richiede il passaggio dalla teoria alla vita.