XXXIII domenica del Tempo Ordinario: Il ritorno glorioso del Figlio

Dal vangelo secondo Marco (Mc 13, 24-32)

Gerusalemme_Celeste

La Gerusalemme celeste e l’Agnello, miniatura, sec. XV,
Bibliothèque Nationale, Parigi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». 

Breve commento

Le ultime settimane dell’Anno liturgico ci presentano brani evangelici che richiamano il compimento della storia della salvezza e dell’umanità. Nel brano di oggi Gesù, uscendo dal tempio di Gerusalemme, tiene un lungo discorso sulle cose ultime, invitando i suoi discepoli a vivere in un atteggiamento di costante vigilanza e attesa. Il linguaggio utilizzato da Gesù per descrivere questa dimensione della storia della salvezza assume toni immaginifici e profetici, secondo quello che nel linguaggio teologico si definisce “genere apocalittico”, non per indicare qualcosa di sconvolgente – in base al senso comune che attribuiamo a questo concetto – ma secondo l’etimologia greca, con un linguaggio di rivelazione (in greco apokàlupsis). Gesù, in altre parole, ci rivela sé stesso come il compimento della storia: Egli è il principio in cui tutte le cose sono state create ed è anche il fine di tutte le cose, proprio come leggiamo nell’Apocalisse: “Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!” (Ap 1,8). Gesù, che ha dato la vita sulla Croce per noi, facendosi ultimo e disprezzato, tornerà alla fine dei tempi nella potenza e nella gloria. La Chiesa, comunità dei redenti, in cammino nella storia come pellegrina, dal lavacro del battesimo che la inserisce nel mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, professa la sua fede in Colui che tornerà alla fine dei tempi, per compiere la realizzazione del suo Regno, che non avrà fine.

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Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale (part.),  sec. XVI, Cappella Sistina,         Città del Vaticano 

Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, infatti, noi annunziamo il suo mistero Pasquale, “nell’attesa della sua venuta“, invocando l’avvento del Regno senza tramonto. É la forza della sua Parola, stabile, certa, vera, che non passa, a rendere ragione della nostra speranza. Scrive Ratzinger: “La parola, quasi un nulla a confronto col potere enorme dell’immenso cosmo materiale, un soffio del momento nella grandezza silenziosa dell’universo – la parola è più reale e più durevole che l’intero mondo materiale. E la realtà vera ed affidabile: il terreno solido sul quale possiamo appoggiarci e che regge anche nell’oscurarsi del sole e nel crollo del firmamento. Gli elementi cosmici passano; la parola di Gesù è il vero «firmamento», sotto il quale l’uomo può stare e restare” (Gesù di Nazaret, vol. II: Il discorso escatologico di Gesù). Di fronte agli sconvolgimenti del tempo, al dilagare del male, al gemito dell’umanità oppressa dalle ingiustizie e dalle violenze, il cristiano, nella fede della Chiesa, accoglie la sfida della speranza, non per rifuggire dall’impegno quotidiano, ma per incamminarsi verso il vero rinnovamento. Ancora nell’Apocalisse, l’autore sacro mette sulla bocca di Gesù, il Vivente questa espressione: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Il Cristo, nel tempo che solo il Padre conosce, porterà la Chiesa e l’umanità nella loro dimensione definitiva, dove non ci saranno più il dolore, la morte e le lacrime, ma tutto sarà Luce e Verità. Le domande tipiche dell’uomo di ogni epoca, sul come avverrà e quando avverrà, dunque, non hanno alcun senso. Scrive, infatti, il papa emerito: “Le parole apocalittiche di Gesù non hanno nulla a che fare con la chiaroveggenza. Esse vogliono proprio distoglierci dalla curiosità superficiale per le cose visibili e condurci all’essenziale: alla vita sul fondamento della parola di Dio, che Gesù ci dona; all’incontro con Lui, la Parola vivente; alla responsabilità davanti al Giudice dei vivi e dei morti” (Gesù di Nazaret, vol. II: Il discorso escatologico di Gesù).

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