di don Alessio Corradino

M. Grünewald, Giovanni Battista (part. della Crocifissione), 1512-1516, Colmar
Tutti i Vangeli danno grande importanza al ministero del Battista, profeta austero,rivestito di vesti di cammello, collocato tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Matteo ne sottolinea l’appello alla conversione (cfr. Mt 3,2); in Marco lo stesso Vangelo ha inizio con la predicazione del Battista (Mc 1,4-5); per Luca l’annuncio di Giovanni costituisce l’inizio (cfr. At 1,21-22). Infine, l’autore del IV Vangelo dedica una particolare attenzione a chi è stato definito il primo Apostolo di Gesù. Già nel Prologo, infatti, dopo avere solennemente annunciato che la Parola si è fatta carne, non omette un riferimento a colui che ne ha preparato la strada: “Venne un uomo mandato da Dio: e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1, 6-8). Soffermandoci su questi ultimi versetti, notiamo come la figura del Battista risulta essere l’elemento iniziale della missione pubblica di Gesù e il cui compito è quello di essere testimone. Egli più che un maestro è colui che dà testimonianza, perché ha visto, ha sentito, ha fatto esperienza dell’Epifania di Dio nel Giordano che manifesta la sua gloria nel Figlio amato: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui” (Gv 1,32). Attraverso Giovanni il Precursore è possibile, dunque, riconoscere il Cristo: egli diventa mediatore della fede, ci aiuta a riconoscere in Gesù la Parola eterna fatta carne. A dare, tuttavia, al Battista la piena coscienza del proprio ruolo sono le parole del profeta Isaia: “Io sono voce di uno che grida”. Intenzionalmente l’Evangelista mette a confronto la voce con la parola. Giovanni è la voce, parla a nome di un altro, la parola invece è una, la Parola è Cristo. E come il Battista ogni cristiano, nella propria vita, nel proprio ambiente, può e deve essere voce quella Parola. In un’omelia di Benedetto XVI ascoltiamo: “Giovanni Battista è una voce nel deserto ed è un testimone della luce; e questo ci tocca nel cuore, perché in questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, tutti siamo chiamati ad essere testimoni della luce. Questa è proprio la missione del tempo di Avvento: essere testimoni della luce, e possiamo esserlo solo se portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è, ma che abbiamo visto un po’ di luce” (III Domenica di Avvento, 2011). Ma il vertice della testimonianza del Battista lo ritroviamo nei versetti successivi: “Sono stato mandato avanti a lui. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3, 28-30). Giovanni Battista identifica Gesù come lo sposo e dice di se stesso di esserne l’amico, eppure aggiunge: “io devo diminuire perché lui deve crescere”. Questo monito, come una consegna, resta un principio fondamentale della nostra esperienza cristiana, umana e spirituale: Cristo deve crescere nella nostra vita, il resto deve diminuire. C’è un gioco che la liturgia ci regala nel collocare le date di nascita del Battista e di Gesù attraverso un intreccio simbolico: al solstizio d’estate, infatti, dove è collocata la nascita del Battista, le giornate cominciano ad accorciarsi, la voce deve diminuire; al solstizio d’inverno, invece, dove è collocata la nascita di Cristo, il sole comincia a crescere, le giornate si allungano, la Parola deve crescere. Imitiamo, in questo tempo di Avvento, colui che è voce della Parola e amico dello Sposo per vivere il mistero del Natale con rinnovata meraviglia, accogliendo l’Emmanuele come il Kyrios della storia e della nostra vita.