di don Pietro Piraino

Madonna e la cugina Elisabetta con miniatura dei Bambini concepiti, sec. XV, Chiesa di Kremsmünster, Austria.
“E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45). La prima volta che nel Vangelo secondo Luca ricorre una beatitudine, essa è rivolta a Maria di Nazareth. La giovane è proclamata beata dalla sua parente Elisabetta, con una espressione che è al tempo stesso costatazione e profezia. “Essere beati”. Beato è chi ha a che fare, nella concretezza della sua vita, con cose che permettono di gustare già la pienezza della salvezza. Quindi beato è chi, in qualsiasi condizione si trovi, anche umanamente poco accattivante, vive e sperimenta già la realizzazione di sé, il pieno compimento delle proprie speranze, dei propri sogni, dei propri desideri; è beato chi vive in pieno accordo con il progetto di Dio. E chi è beato sperimenta la gioia, la felicità. Noi uomini del Terzo Millennio siamo bombardati da promesse di felicità, impegnatissimi nella ricerca di gioie solo con le nostre forze, e quindi incapaci di conquistarle, per cui ci ritroviamo vittime di una frustrazione che genera inquietudine, instabilità, paure, crisi di identità… Risulta perciò urgente guardare a chi la gioia, la felicità, la pienezza l’ha sperimentata. Guardiamo perciò a Maria. Lei è beata per la sua fede intelligente, per ciò che ha sperimentato nella sua vita, per la sua adesione forte e totale alla Parola di Dio. Felice, beata, realizzata come donna, come madre, come sposa, come credente. Un occhio distratto, con lo sguardo riduttivo di chi esclude il progetto di Dio dalla storia degli uomini, rischierebbe di vedere in lei solo una donna segnata da disgrazie, madre esule di un figlio illegittimo che crescendo sembra ripudiarla e, per giunta, fa una brutta fine, condannato alla peggiore delle morti. Lo sguardo di fede, però, abbraccia la pienezza di umanità di una donna che si consegna per amore a quell’Amore che è sorgente di tutto il creato. Una consegna che non è cieco abbandono, ma radicata adesione, assenso di fede e di vita a un Dio a cui non basta rimanere il totalmente altro dagli uomini, ma piuttosto, grazie al sì umano di Maria, assumendo la nostra umanità, si fa spazio comune di incontro tra tutti gli uomini e sé stesso. Quel Messia annunciato dai profeti come “veniente ma non ora” (cfr. Num 24,17), “ormai” (Lc 1,48b), nella vicenda di Maria, è entrato in contatto definitivo con la nostra umanità così da divenire salvezza per tutte le generazioni. Gli uomini di tutti i tempi, perciò, potranno vedere in Maria la donna felice, beata, piena di grazia, e al tempo stesso, in lei, tutta l’umanità si dirà visitata. Come donna vera, Maria piangerà per il rifiuto a Betlemme, per la perdita di Gesù nel Tempio, per l’incomprensione dei suoi familiari verso la missione pubblica di Gesù, per le ore sconvolgenti del Calvario. Forse, all’impatto soffrirà l’apparente rifiuto del Maestro in risposta all’esclamazione di una donna: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!“, a cui Gesù rispose: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27-28). Ma affidandosi sempre allo Spirito, Maria nei Vangeli riesce a trasformarsi da Madre a Discepola, restando sempre ascoltatrice e realizzatrice nella sua vita della Parola di Dio, ragione per cui a pieno diritto è titolare anche di questa beatitudine. Oggi perciò, Maria ci è maestra di felicità. Ci insegna ad accogliere il mistero della nostra vita e della nostra storia come chiamata di Dio da comprendere e vivere in ascolto obbediente e fiducioso della Parola. Se vogliamo essere felici dobbiamo necessariamente metterci in ascolto. E, per ascoltare, dobbiamo tacere. E, nel silenzio, lasciarci ricreare dallo Spirito, e liberarci dal superfluo che gioia non è. Priva di tutto, anche del suo Figlio, Maria, nell’ora della Croce, tace e attende, accoglie e raduna i “cocci rotti” della comunità apostolica. E gravida di speranza, come nei giorni di Nazaret, partorisce la Chiesa del Risorto, in attesa della risurrezione definitiva di tutta l’umanità. Beata lei, allora, Vergine e Madre dell’Avvento, donna la cui attesa è ricolmata del dono del Veniente che lei ci insegna ad accogliere ogni giorno, in attesa della trasfigurazione completa a immagine del volto glorioso del Suo Figlio, di cui già Ella è partecipe.