Pentecoste: Lingue di fuoco (At 2,3)

di S.E. Mons. Fortunatus Nwachukwu*

Moritz_Daniel_Oppenheim_-_Shavuot_(Pentecost)_(Das_Wochen-_oder_Pfingst-Fest)_-_Google_Art_ProjectLa Pentecoste in origine era la festa giudaica che celebrava il raccolto primaverile delle primizie del grano. Nel Libro dell’Esodo leggiamo: “Celebrerai anche la festa delle Settimane, la festa cioè delle primizie della mietitura del frumento, e la festa del raccolto al volgere dell’anno… Porterai alla casa del Signore, tuo Dio, il meglio delle primizie della tua terra” (Es 34, 22.26). Era chiamata la festa delle Settimane (in ebraico “hag šābū’ōt”), perché era celebrata sette settimane dopo Pasqua (in ebraico “pesah”), nel cinquantesimo giorno, da cui il nome Pentecoste, dal greco pentēcostēs (“cinquantesimo”). Originariamente era celebrata con un pellegrinaggio a Gerusalemme per l’offerta delle primizie del grano. Con la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. essa iniziò a perdere la sua connotazione agricola e fu maggiormente associata con la storia sacra di Israele, in particolare con i grandi eventi del Sinai come il dono della Legge (la promulgazione dei Comandamenti) e l’istituzione dell’Alleanza. Fu proprio in occasione di questa festa, che portò a Gerusalemme molti pellegrini, che lo Spirito Santo discese sui discepoli di Gesù, mentre essi “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Non ci viene detto il posto esatto dove i discepoli erano riuniti, nè che fossero bloccati lì a causa della paura dei giudei, come dopo la Pasqua di Gesù e prima della sua apparizione nel cenacolo. Il raduno nel giorno di Pentecoste era differente. È più probabile che essi fossero radunati per celebrare e pregare, come stava diventando loro costume dopo l’ascensione di Gesù (cfr. At 1,14). La discesa dello Spirito Santo è descritta narrativamente:

Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2,2-4).

Noi siamo abituati a pensare alle “lingue di fuoco” come riferite allo Spirito Santo. Senza alcun pregiudizio nei confronti di grandi testi teologici e spirituali che sono stati composti in base a questa comprensione della frase, un esame più attento sembra suggerire una lettura differente e alternativa. È vero che oltre al nome proprio “spirito”, che significa soffio, aria o vento (in ebraico “ruach”, in greco “pneuma” e in latino “spiritus” o “animus”), nella Bibbia sono utilizzati vari simboli, incluso il fuoco, per designare lo Spirito Santo. Fra questi, c’è l’acqua della vita, l’unzione, la nube, la luce, il sigillo, la mano, il dito, la colomba (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 694-700). Nonostante ciò, non sarebbe normale che nello stesso contesto venissero presentati contemporaneamente due di questi simboli per descrivere lo Spirito Santo, specialmente quando viene chiamata in causa una delle originali espressioni dello Spirito (aria, soffio o vento) e c’è un’applicazione alternativa per l’altro simbolo. Questo sarebbe il caso della narrazione di Pentecoste. Se il rumore come “il fragore di un vento impetuoso” che Pentecosteveniva dal cielo sarebbe il naturale riferimento all’arrivo dello Spirito Santo, e se questo “riempie la casa“, lo Spirito non avrebbe bisogno di assumere un’altra forma simbolica accanto a quella del vento. Infatti, sebbene il libro degli Atti degli Apostoli contenga vari riferimenti alla discesa dello Spirito Santo sui discepoli di Gesù e sui nuovi convertiti, nessuno di essi chiama in causa l’immagine delle fiamme o lingue di fuoco. Questo, quindi, lascerebbe la Pentecoste come un’eccezione improbabile in cui lo Spirito Santo apparirebbe in questa forma. Nemmeno nella storia simile a quella della Pentecoste, quella del raduno dei discepoli dopo che Pietro e Giovanni furono liberati dalla prigione (Cfr. At 4,23-31), troviamo le immagini di lingue di fuoco. Tutti gli elementi menzionati in questo racconto sono simili a quelli del giorno di Pentecoste: i discepoli erano riuniti in un unico luogo; erano in preghiera; il loro luogo d’incontro tremò, molto probabilmente per l’arrivo dello Spirito-Vento e il loro dono della parola fu rinnovato. Tuttavia, lo Spirito Santo non aveva bisogno di assumere la forma di fiamme di fuoco nello scendere sui discepoli per ripristinare o rafforzare la loro audacia.

È più probabile che le “lingue di fuoco” della Pentecoste si riferiscano a una presenza, diversa da quella dello Spirito Santo. Un suggerimento si trova nel fatto che questa fiamma o “lingue come il fuoco” non hanno consumato i capelli degli apostoli. Non ci viene detto che sono diventati calvi o hanno subito scottature del cuoio capelluto! Questa fiamma ricorda, più probabilmente, la stessa che apparve a Mosè sull’Horeb, che non consumava il cespuglio sul quale bruciava. In Esodo leggiamo che: “L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava” (Es 3,2). Se la fiamma dell’Horeb ha preannunciato la presenza di Dio Padre (il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe), molto probabilmente è la stessa Persona della Santissima Trinità che è apparsa sotto forma di “lingue come di fuoco” a Pentecoste. Le lingue non bruciavano la testa o i capelli degli apostoli, ma sedevano su ciascuno di essi come su un trono! Questa sarebbe una posizione di autorità e conferma. Per completare il quadro, gli apostoli hanno ricevuto anche il dono della parola, che hanno iniziato ad annunciare. Quella parola, con un effetto universale tale che tutti potevano capire, non è altro che Gesù Cristo, la Parola di001-038-1999-Redemptoris-Mater-Roma-Italia-Parete-Ascensione-parete-centraleS Dio (Cfr. Gv 1,1-18). Di conseguenza, ciò che accadde a Pentecoste fu una teofania della Santissima Trinità, che venne per dare forza gli apostoli e inaugurare la missione pubblica della Chiesa. Questo non dovrebbe sorprenderci. Proprio come il ministero pubblico di Gesù fu “inaugurato” nel suo battesimo, con una teofania della Santissima Trinità, quando lo Spirito Santo discese su di lui, sotto forma di colomba, e la voce del Padre venne dal cielo per confermare l’identità di Gesù come Figlio (Cfr. Mt 3,16-17), così allo stesso modo, una teofania della Beata Trinità ha inaugurato la missione universale dei discepoli di Gesù Cristo, la Chiesa, che è il suo Corpo (Cfr. Col 1,18). Tuttavia, poiché lo Spirito Santo è il prolungamento della presenza e della missione di Gesù Cristo nel mondo, e poiché Gesù Cristo è la rivelazione del Padre, con il quale è intrinsecamente uno, possiamo parlare di una teofania trinitaria realizzata attraverso l’effusione dello Spirito Santo. Il Catechismo della Chiesa insegna che nella Pentecoste, “la Santissima Trinità è completamente rivelata” (CCC 732) e segue citando anche un testo della liturgia bizantina della Pentecoste, che associa la celebrazione alla Santissima Trinità: “Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede; adoriamo l’indivisibile Trinità, che ci ha salvati” (ibidem).

Questa interpretazione che riferisce l’immagine del fuoco a Dio Padre, sarebbe anche in linea con vari altri casi nella Bibbia in cui la parola “fuoco” tende a riferirsi principalmente alla presenza o al “volto” di Dio. Si pensi, ad esempio, a Dio che si manifesta al suo Popolo, mentre viaggiavano verso la terra della promessa: li guidò in una colonna di fuoco (Cfr. Es 13,21), scese sul Sinai nel fuoco (Cfr. Es 19,18) e la sua gloria era come un fuoco divorante in cima alla montagna (Cfr. Es 24,17; cfr. anche Dt 4,24). Il salmista dichiarerà in seguito: “come si scioglie la cera di fronte al fuoco, periscono i malvagi davanti a Dio” (Sal 68,2), per cui l’espressione “di fronte del fuoco” è parallela a “davanti a Dio” o “alla presenza di Dio” (in ebraico, “mipnê Adonai“). Nella stessa linea, quindi, quando Gesù dichiarò: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49), è probabile che il fuoco si riferisca alla presenza di Dio, che si manifesta in Gesù Cristo, sebbene quella presenza sarebbe successivamente perpetuata dallo Spirito Santo.

In effetti, l’immagine del fuoco è probabilmente quella che maggiormente ci avvicina ad una comprensione umana del mistero delle relazioni intratrinitarie tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Se si confronta la sostanza divina con il fuoco, allora la fiamma sarebbe l’immagine del Padre, la luce del Figlio e il calore quella dello Spirito Santo. Come il Figlio e lo Spirito Santo vengono dal Padre, così anche la luce e il calore emanano dalla fiamma. Ancora una volta, poiché l’origine del Figlio e dello Spirito Santo dal Padre non implica alcuna precedenza nell’esistenza da parte del Padre, così anche con la fiamma, la luce e il calore. Sebbene la fiamma sia il “padre” o “madre” della luce e del calore, nessuno di loro precede l’altro nell’esistenza. Eppure rimangono tutti distinti, l’uno dall’altro, nelle loro manifestazioni e operazioni. Gesù stesso, in una delle sue rivelazioni “Io sono” nel Vangelo secondo Giovanni, si riferisce a se stesso come “la luce del mondo” (Gv 8,12). Allo stesso modo, il titolo di paraclito (in greco, paraklētos, che significa avvocato, consolatore, aiutante o consigliere), che Gesù applica allo Spirito Santo, fa eco al “calore” trasformativo, che è portato da un consolatore, aiutante, consigliere o avvocato.

Questa lettura aiuta a correggere alcune aberrazioni riguardo alla comprensione dello Spirito Santo. Ad esempio la considerazione dello Spirito come fuoco o lingue di fuoco, porta alcuni a considerarlo come un’arma violenta da scagliare contro nemici, sia umani, materiali che spirituali. Allo stesso modo, comprendendo la parola data agli apostoli nel giorno di Pentecoste come presenza di Gesù Cristo, Parola di Dio, viene smascherato un altro abuso, quello cioè di coloro che si sforzano di “fabbricare” il dono delle lingue o delle parole, producendo suoni insignificanti, come “rataba radababa …”, durante preghiere o canti. Come Parola di Dio, Gesù Cristo non è un’invenzione. Egli è dato. A volte può esserci la “glossolalia” (vale a dire, il dono delle lingue), ma anche in quel caso, ha sempre un messaggio che può essere interpretato. È vero che l’apostolo Paolo insegna che “Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende” (1 Cor 14,2). Tuttavia, lo stesso apostolo insiste sulla necessità che il discorso sia reso intelligibile, “perché l’assemblea ne riceva edificazione” (1 Cor 14,5), altrimenti la persona “parlerebbe solo al vento” (1 Cor 14,9). Con parole che oggi dovrebbero essere lette nuovamente ad alta voce in molti raduni cristiani, l’apostolo dichiara:

Quando si parla con il dono delle lingue, siano in due, o al massimo in tre, a parlare, uno alla volta, e vi sia uno che faccia da interprete. Se non vi è chi interpreta, ciascuno di loro taccia nell’assemblea e parli solo a se stesso e a Dio” (1 Cor 14,27-28).

Il dono delle lingue, quindi, non è qualcosa da “orchestrare” a volontà per attirare l’attenzione su di sé o per mostrare la propria dotazione spirituale o abilità teatrale. È un dono che mira a “edificare la comunità” (1 Cor 14,12). In effetti, qualsiasi espressione del dono delle lingue, che rimane incomprensibile, è solo una distrazione per l’assemblea in preghiera, spesso finalizzata ad attirare un’indebita attenzione su chi parla.

acq_vis_ventoIn sintesi, un modo per apprezzare la presenza e l’impatto dello Spirito Santo nella narrativa di Pentecoste sarebbe quello di concentrarsi sul “vento che si abbatte impetuoso” dal cielo, che “riempì tutta la casa dove stavano” (At 2,2). Nella sua Omelia del giorno di Pentecoste del 2018, Papa Francesco ha sottolineato il fatto che questa immagine ci presenta la realtà dello Spirito Santo come agente di cambiamento e trasformazione nella nostra vita, così come il vento è generalmente principio di cambiamento. Sappiamo molto bene come il vento influenza il tempo. Annuncia l’arrivo delle piogge, ma disperde anche le nuvole per fermare la pioggia. Quando fa freddo, il vento porta calore; e nel tempo soleggiato e caldo, porta freschezza. Allo stesso modo, lo Spirito Santo trasforma i nostri cuori e le nostre vite, proprio come i discepoli che con lo Spirito Santo divennero coraggiosi, uscirono, predicarono il Vangelo e testimoniarono Gesù Cristo fino ai confini della terra.

La forza dello Spirito Santo opera in noi una trasformazione radicale. Dall’essere tiepidi ci rende zelanti; da deboli e pigri siamo resi forti e attivi; e dall’essere negativi sulle cose diventiamo positivi e pieni di speranza. Lo Spirito Santo ci trasforma dal peccato alla grazia! Trasforma anche le esperienze della nostra vita. Riempie la nostra vita di belle sorprese, aprendo per noi porte e percorsi che sembravano chiusi. Nessuna barriera è troppo forte per essere rotta o superata. Si è quindi incoraggiati a pregare sempre di ricevere questo Spirito, specialmente in momenti di grandi sfide.

Inoltre, come il vento, lo Spirito Santo rinnova, promuove e rafforza il senso di comunione, condivisione e comunità. Il vento o l’aria è una delle cose che condividiamo sempre con gli altri, ovunque ci troviamo. Respiriamo la stessa aria con quelli che ci circondano. Se una persona emette un odore cattivo o piacevole nell’aria, raggiunge tutti quelli nello stesso posto. Di conseguenza, la condivisione è un’espressione principale della presenza dello Spirito Santo in una comunità. In tale contesto, si realizzano le parole di San Paolo ai Romani “Nessuno di noi vive per se stesso, nessuno di noi muore per se stesso” (14,7). Siamo tutti “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Con lo Spirito Santo, tutti noi acquisiamo un obiettivo comune: il regno di Dio e la sua volontà in mezzo a noi. Ecco perché Gesù insegnò ai suoi discepoli a pregare: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra” (Mt 6,10). Le difficoltà sorgono quando le persone si allontanano da questo impulso dello Spirito Santo e focalizzano il loro interesse solo su se stesse e sulla loro volontà personale. Praticamente cambiano le parole della preghiera del Signore in: “Sia fatta la tua volontà in cielo e la mia in terra”! Tale atteggiamento è la causa di molti problemi nelle famiglie, nel matrimonio e anche nelle comunità ecclesiali.

Lo Spirito Santo ci raggiunge e tocca le nostre vite in vari modi, sia individualmente che nella Chiesa. Il cristiano incontra lo Spirito Santo non solo attraverso le Sacre Scritture, la Tradizione e gli insegnamenti ufficiali tramandati dalla Chiesa, ma anche attraverso i sacramenti, i sacramentali, le celebrazioni liturgiche e le devozioni private, nonché i vari carismi che lo stesso Spirito ispira tra i fedeli (Cfr. CCC, n. 688).

È attraverso lo Spirito Santo che una persona è saldamente inserita in Cristo. L’apostolo Paolo scrive ampiamente sulle conseguenze di ciò. È sufficiente qui menzionarne solo due. In Rom 8,1 ci dice che non c’è condanna per coloro che sono in Cristo. Poi, nella Seconda lettera ai Corinzi spiega ulteriormente perché: “se qualcuno è in Cristo, è una nuova creatura. Le cose di prima sono passate, ecco ce ne sono di nuove” (2Cor 5,17). La trasformazione operata dallo Spirito Santo è così completa, dunque, che ogni persona diventa nuova. Ciascuno può davvero gridare: “Sono nuovo!” Sarebbe grandioso se ogni cristiano emergesse dalla celebrazione della grande solennità della Pentecoste proclamando: “Grazie, Signore. Sono nuovo!”

Lo Spirito Santo non ci riempie semplicemente. Rinnova la nostra vita e ci conduce verso3fb527fd0e6af482512c21cdca5ed5c7 l’alto. Questo è ciò che Gesù insegna riguardo allo spirito nella sua conversazione con Nicodemo nel capitolo 3 del Vangelo secondo Giovanni, specialmente nei versetti 3, 5 e 14. Gesù afferma che attraverso lo spirito riceviamo la rinascita “dall’alto” (vv.3 e 5). Quindi confronta lo spirito con il vento (v.8). Lo Spirito Santo, che è il calore, che emana dal fuoco di Dio, conduce verso l’alto coloro che ne sono riempiti. A volte induce la persona a sfidare le tendenze al ribasso, che come la forza di gravità, normalmente emanano dalle sue naturali inclinazioni. Focalizza la persona in alto. Questo ricorda le parole del salmista: “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra”(Sal 121,1). Lo Spirito, dunque, ci aiuta a tenere gli occhi sempre concentrati in alto, specialmente quando sorgono difficoltà. Come il Signore per salvare il popolo morso dai serpenti velenosi nel deserto, istruì Mosè a costruire un serpente di bronzo che doveva essere fissato da chi venisse morso (Cfr. Num 21,4-9), esperienza a cui Gesù stesso fa riferimento nel Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 3,14-15), così lo Spirito Santo mantiene il nostro sguardo sollevato verso la Croce di Gesù Cristo, attraverso la quale otteniamo nuova vita e salvezza. Questo è il motivo per cui dobbiamo costantemente gridare: Vieni Oh Spirito Santo. Vieni e resta. Solleva il mio sguardo. Rinnova in me la presenza di Gesù Cristo, affinché anch’io sia totalmente nuovo!


* Nunzio Apostolico in Trinidad e Tobago

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