
Gli episodi accaduti negli Stati Uniti nelle ultime settimane, dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, con le grandi proteste che si stanno susseguendo lì e in tanti altri Paesi del mondo, invitano a riflettere su una problematica che nonostante il “progresso” e lo “sviluppo” tanto elogiato nella nostra società, continua ad essere dolorosamente attuale: la discriminazione razziale. Dopo i grandi fatti della storia, gli eventi legati alla Seconda Guerra Mondiale, le deportazioni di massa, i genocidi antichi e recenti, l’uomo non ha ancora appreso la lezione! L’incontro e la convivenza tra diverse culture, gli scambi e la globalizzazione non hanno guarito questa piaga ancora tanto dolorosa e purulenta per l’umanità di ogni epoca e di ogni latitudine. La scienza, riconosciuta universalmente come criterio oggettivo di riferimento, mediante la genetica, ha ormai chiarito che la distinzione in diverse etnie, dovuta agli adattamenti geografici e climatici, si deve ricondurre comunque all’unica specie dell’Homo sapiens sapiens e che nonostante le differenze fenotipiche (esteriori), i genotipi (i corredi cromosomici) sono sempre molto simili tra di loro. Perché, dunque, si guarda ancora l’altro con sospetto – quando non proprio con disprezzo ! – per il colore della sua pelle, per la sua provenienza, la sua cultura, la sua religione, il suo pensiero, il suo orientamento sessuale? Ogni uomo è persona, essere dotato di una dimensione corporale, psichica e spirituale, con relazionalità e capacità di scegliere ed autodeterminarsi nel bene o nel male. Perché così spesso dimentichiamo questa verità cosi evidente? Il concetto filosofico di persona rappresenta certamente una delle conquiste più alte del pensiero umano di ogni epoca, eppure ancora troppo spesso viene accantonato e sconfessato nei fatti, considerando tanti esseri umani inferiori, o – quanto meno – diversi. La radice di questi atteggiamenti sta tutta nella paura, che per lo più è frutto di non conoscenza e di pregiudizi. Non per altro gli atteggiamenti discriminatori e razzisti spesso camminano di pari passo con la xenofobia, che secondo l’etimologia greca è appunto “paura dello straniero”. Tutto questo pone una sfida culturale enorme per noi uomini e donne di questa epoca e per le nuove generazioni. Già nell’antichità alcuni si erano misurati con queste problematiche. Si pensi ad esempio alla celebre figura del filosofo romano Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), esponente della scuola stoica, che nel I sec. d.C. si era espresso sull’uguaglianza fra gli uomini, riferendosi agli schiavi, considerati in quell’epoca più oggetti che persone. In una delle sue lettere, Seneca scrive al suo amico Lucilio: “Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te!” (L. A. Seneca, Epistula 47, 10).

Lo stesso cristianesimo, fondato sul mistero dell’Incarnazione di Cristo, ossia sull’unione indissolubile (ipostatica) tra la natura divina e la natura umana nel Figlio di Dio, anche su questo specifico aspetto, ha donato alla cultura umana una luce del tutto particolare, difendendo sempre e ad ogni costo l’altissima dignità della persona, dal suo concepimento fino alla morte naturale, come “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,26). Il messaggio cristiano da duemila anni predica l’uguaglianza fra ogni persona, come opera singolare della creazione di Dio, destinataria del suo amore e della sua salvezza. Se, dunque, nessun uomo può permettersi di essere razzista, per un cristiano tale atteggiamento si configurerebbe come una vera e propria bestemmia contro quell’immagine e somiglianza di Dio, iscritta nella natura più profonda di ogni creatura umana, finendo per offendere lo stesso Creatore! A maggior ragione, tale veleno non dovrebbe mai entrare nella Chiesa, Nuovo Popolo di Dio radunato da tutti gli angoli della Terra. Tra le tante pagine bibliche che si potrebbero richiamare, basti pensare a due importanti testi dell’Apostolo Paolo. Uno è sicuramente il “grido” rivolto ai cristiani della Galazia: “non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). L’altro, tratto dalla brevissima lettera a Filemone, uomo benestante di Colossi e amico personale dell’Apostolo, a cui egli si rivolge perché riaccetti e perdoni la fuga di Onesimo, ex schiavo, ora convertitosi in fratello nella stessa fede: “Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore” (Fm 15-16).

La società e nello specifico la comunità internazionale, anche grazie agli apporti di tanti altri movimenti di pensiero e ai tristi errori della storia, ha prodotto enormi progressi dal punto di vista teorico e ideale. Si pensi, solo per citare il più noto, alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, che nell’articolo 1 così afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Si parlava di punto di vista teorico e ideale, perché purtroppo nella prassi siamo ben lontani da vedere un’attuazione completa e universale di tali principi. In quanti Paesi, anche tra quelli che presumono di essere democraticamente avanzati, come anche nelle comunità cristiane, implicitamente od esplicitamene, si incontrano ancora discriminazioni per il colore della pelle o la provenienza, spesso perpetrate con meccanismi subdoli e mistificatori, che si nascondono sottilmente dietro “puliti” criteri culturali. Questi giorni, allora, come un vero “segno dei tempi”, dovrebbero aiutare l’umanità – ma più concretamente ciascuno di noi – a fare un serio esame di coscienza, vincendo la paura e l’ignoranza, per giungere a quella vera fraternità che è iscritta nella natura umana e che sola, se presa sul serio, renderebbe il mondo più bello, oltre le ingiustizie, gli interessi, i particolarismi e le faziosità ad ogni livello.
don Luciano Labanca