Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 51-58)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Breve commento
Gesù alla folla riunita attorno a Lui nella sinagoga di Cafarnao si presenta come “pane vivo”, che si offre in cibo e bevanda per la vita eterna e per la salvezza del mondo. A tale solenne proclamazione fa da controcanto l’aspra domanda dei Giudei sul come sia possibile una cosa del genere! Questo interrogativo, sorto nell’immediatezza della proclamazione di Gesù, si è ripetuto nel corso della storia e continua a ripetersi anche oggi di fronte alla Santissima Eucaristia. Già i cristiani della prima generazione venivano accusati di cannibalismo, perché i pagani, senza comprenderne il senso, sentivano dire di loro che “mangiavano il corpo di Cristo”. Effettivamente, un approccio solo razionale e sensibile non è sufficiente ad entrare nella logica di un così grande mistero. Nel bellissimo Inno eucaristico “Adoro Te devote” (leggi testo e traduzione integrale), attribuito a San Tommaso d’Aquino, si canta: “La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano, ma solo con l’udito si crede con sicurezza: Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio, nulla è più vero di questa parola di verità“. I sensi e la comune comprensione vedono nell’Eucaristia semplicemente un pezzo di pane e poche gocce di vino. Soltanto la fede nella Parola di Gesù fa intravedere come la forza dello Spirito Santo possa trasformare questi semplici elementi nella sua Carne e nel suo Sangue. Per comprendere il senso della Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo occorre un breve cenno all’origine storica di tale ricorrenza, la cui estensione a tutta la Chiesa risale alla decisione di papa Urbano IV nel 1264. Il Papa riconobbe ufficialmente il prodigioso evento accaduto l’anno precedente nella chiesa di Santa Cristina a Bolsena, quando un sacerdote boemo, Pietro di Braga, assalito da dubbi sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, durante la consacrazione vide l’Ostia sanguinare sui lini sacri. Il sacerdote, molto impaurito, cercando di non dare nell’occhio, portò a compimento la celebrazione e avvolgendo l’Ostia consacrata ancora sanguinante nel corporale, si diresse verso la sacrestia, mentre alcune gocce di sangue caddero sul pavimento e sui gradini dell’altare, lasciandovi tracce tuttora visibili. La Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, quindi, intende proprio rafforzare la fede dei credenti nella presenza reale e sostanziale di Gesù sotto le specie consacrate del Pane e del Vino. Le Parole di Gesù nel discorso sul “Pane di vita” tramandateci dall’evangelista Giovanni illuminano la comprensione di questo grande “dono e mistero”: Gesù per amore verso l’umanità ha voluto rimanere presente per sempre sotto questi umili segni del pane e del vino, per farsi vero cibo e vera bevanda dell’umanità e permettere così ad ogni uomo di incontrarlo, entrare in comunione con Lui e ricevere in se stesso la potenza della sua salvezza pasquale. Accogliendo con fede queste verità, dunque, ogni fedele può riconoscere nell’Eucaristia il Mistero grande dell’amore che si dona gratuitamente, secondo la logica di Dio, in maniera sempre discreta ed efficace. Egli non si impone, ma si offre e si dona a chi lo accoglie, dandogli la possibilità – solo se lo vuole – di vivere per sempre. Nell’Eucaristia, fino alla fine dei tempi, la Chiesa contempla il mistero dell’onnipotenza di Dio che sceglie i poveri segni del pane e del vino, trasformati dalla potenza dello Spirito attraverso le mani consacrate e sempre fragili e indegne dei sacerdoti, per farsi vero cibo e vera bevanda dell’umanità in cammino verso la patria celeste. A tal proposito sembra più che mai adeguato richiamare le parole scolpite sulla tomba di Sant’Ignazio di Loyola nella Chiesa del Gesù a Roma: “non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est” (“Non esser costretto da ciò ch’è più grande, ma essere contenuto in ciò ch’è più piccolo, è divino“). Solo facendoci “piccoli” come Lui, possiamo riconoscere nella sua piccolezza Colui che è veramente grande!

Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)
Perché c’è tanta fame nel mondo? Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall’abbondanza? Perché il povero Lazzaro deve continuare ad aspettarsi invano le briciole del ricco gaudente, senza poter varcare la soglia della sua casa? Certamente non perché la terra non sia in grado di produrre pane per tutti. Nei Paesi dell’Occidente si offrono indennizzi per la distruzione dei frutti della terra, allo scopo di sostenere il livello dei prezzi, mentre altrove c’è chi patisce la fame. La mente umana sembra più abile nell’escogitare sempre nuovi mezzi di distruzione, invece che nuove strade per la vita. È più ingegnosa nel far arrivare in ogni angolo del mondo le armi per la guerra, piuttosto che portarvi il pane. Perché accade tutto questo? Perché le nostre anime sono malnutrite, i nostri cuori sono accecati e induriti. Il mondo è nel disordine perché il nostro cuore è nel disordine, perché gli manca l’amore, perciò non sa indicare alla ragione le vie della giustizia. Riflettendo su tutto questo, comprendiamo le parole con cui Gesù obietta a Satana, che lo invita a trasformare le pietre in pane: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Perché ci sia pane per tutti, deve prima essere nutrito il cuore dell’uomo. Perché ci sia giustizia tra gli uomini, deve prima germogliare la giustizia nei cuori, ma essa non si sviluppa senza Dio e senza il nutrimento vitale della sua Parola. Questa Parola si è fatta carne, è diventata persona umana, affinché noi potessimo accoglierla e farla nostro nutrimento. Poiché l’uomo è troppo piccolo, incapace di raggiungere Dio, Dio stesso si è fatto piccolo per noi, così che possiamo ricevere amore dal suo amore e il mondo diventi il suo regno. Questo significa la festa del Corpus Domini. Il Signore che si è fatto carne, il Signore che è diventato pane, noi lo portiamo per le vie delle nostre città e dei nostri paesi. Lo immergiamo nella quotidianità della nostra vita, le nostre strade diventano le sue strade. Egli non deve restare rinchiuso nei tabernacoli discosto da noi, ma in mezzo a noi, nella vita d’ogni giorno. Deve camminare dove noi camminiamo, deve vivere dove noi viviamo. Il nostro mondo, le nostre esistenze devono diventare il suo tempio. Il Corpus Domini ci fa capire cosa significa fare la comunione: ospitarlo, riceverlo con tutto il nostro essere. Non si può mangiare il corpo del Signore come un qualsiasi pezzo di pane. Occorre aprirsi a lui con tutta la propria vita, con tutto il cuore: «Ecco, io sto alla porta e busso», dice il Signore nell’Apocalisse, «se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui e lui con me» (3,20). Il Corpus Domini vuole rendere percepibile questo bussare del Signore anche alla nostra sordità inferiore. Egli bussa forte alla porta della nostra vita d’ogni giorno e dice: «Aprimi! Fammi entrare! Comincia a vivere di me!». Questo non può valere soltanto un attimo, come di sfuggita, durante la santa Messa, e poi di nuovo come prima. È un’esperienza che attraversa tutti i tempi e tutti i luoghi. «Aprimi!», dice il Signore. «Come io mi sono aperto per te. Aprimi il mondo, perché io possa entrarvi, e possa così rischiarare la tua mente intorpidita, vincere la durezza del tuo cuore. Fammi entrare! Io per te mi sono lasciato squarciare il cuore». Il Signore dice questo a ciascuno di noi, lo dice alla nostra comunità nel suo insieme: fatemi entrare nella vostra vita, nel vostro mondo. Vivete di me, per essere veramente vivi. Ma vivere significa anche e sempre: donare ad altri. II Corpus Domini è un invito rivolto a noi dal Signore, ma è anche un grido che noi indirizziamo a lui. Tutta la festa è una grande preghiera: facci dono di Te! Dá a noi il vero pane! Arriviamo così a comprendere meglio il Padre nostro, la preghiera per eccellenza. La quarta invocazione, quella per il pane, funge come da collegamento fra le tre invocazioni che riguardano il regno di Dio e le ultime tre che riguardano le nostre necessità. Che cosa chiediamo? Naturalmente il pane per oggi. È la preghiera dei discepoli, che non hanno capitali da parte, ma vivono della quotidiana bontà del Signore: perciò si mantengono in dialogo costante con lui, volgono a lui il loro sguardo, confidano soltanto in lui. E la preghiera di chi non vuole accumulare ricchezze, di chi non cerca una sicurezza mondana, ma si accontenta del necessario per avere tempo da dedicare alle cose veramente importanti. È la preghiera dei semplici, degli umili, di coloro che amano e vivono la povertà nello Spirito Santo. Ma nella domanda del pane c’è un’altra profondità, il termine greco epioúsios, che noi traduciamo con “quotidiano”, non compare da nessun’altra parte, ma è tipico ed esclusivo del Padre nostro. Per quanto gli esperti discutano ancora sul suo significato, molto probabilmente vuole anche dire: dacci il pane di domani, cioè il pane del mondo a venire. In realtà, soltanto l’Eucaristia può essere la risposta a ciò che questa misteriosa parola, epioúsios, vuole indicare: il pane del mondo futuro, che già oggi ci è dato, affinché già oggi il mondo futuro abbia inizio in mezzo a noi. Alla luce di quest’invocazione, la preghiera perché venga il regno di Dio e perché la terra diventi come il cielo assume grande concretezza: con l’Eucaristia il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si compie già oggi e introduce nel mondo di oggi il mondo di domani. Ma qui è come sintetizzata anche la richiesta di essere liberati da tutti i mali, dai nostri debiti, dal pericolo della tentazione: dammi questo pane, perché il mio cuore si mantenga vigile, perché possa resistere al male, perché sappia distinguere il bene e il male, perché impari a perdonare e sia forte nella tentazione. Soltanto allora il nostro mondo comincerà a essere veramente umano: se il mondo futuro diventa già in qualche misura l’oggi, se il mondo comincia già oggi a diventare divino. Con la richiesta del pane andiamo incontro al domani di Dio, alla trasformazione del mondo. Nell’Eucaristia ci viene incontro il domani di Dio, il suo Regno già oggi comincia tra di noi. E non dimentichiamo, infine, che tutte le invocazioni del Padre nostro sono espresse col “noi”: nessuno può dire “Padre mio” se non Cristo, il Figlio. Perciò noi, se davvero vogliamo pregare nel modo giusto, dobbiamo farlo con gli altri e per gli altri, uscendo da noi stessi, aprendoci. Tutto questo è significato da quel “camminare insieme col Signore” che è, per così dire il segno distintivo della festa del Corpus Domini. Dopo che Gesù ebbe terminato il suo discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao, molti discepoli lo abbandonarono: era qualcosa di troppo impegnativo, di troppo misterioso. Le loro attese erano più che altro rivolte a una liberazione politica, tutto il resto sapeva ben poco di concretezza. Non è forse così anche oggi? Quante persone, nel corso degli ultimi cent’anni, se ne sono andate perché a loro avviso Gesù non era abbastanza “pratico”. Quello che poi, da parte loro, sono riusciti a realizzare è sotto gli occhi di tutti. E se il Signore oggi ci domandasse: «Volete andarvene anche voi?». In questa festa del Corpus Domini, insieme con Simon Pietro, noi con tutto il cuore vogliamo rispondergli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68ss.).
(J. RATZINGER [Benedetto XVI], Imparare ad amare. Il cammino di una famiglia cristiana, Milano/Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007, 106-109).
Preghiera
O Dio nascosto nella prigione del tabernacolo! con gioia vengo accanto a voi ogni sera per ringraziarvi dei favori che mi avete concesso e per implorare perdono delle mancanze commesse durante questo giorno che si è dileguato come un sogno. Gesù, come sarei felice se fossi stata interamente fedele! Ma spesso la sera sono triste perché sento che avrei potuto corrispondere meglio alle vostre grazie. Se fossi stata più unita a voi, più caritatevole con le consorelle, più umile e più mortificata, avrei meno pena ad intrattenermi con voi nell’orazione. Tuttavia, o mio Dio, ben lungi dallo scoraggiarmi alla vista delle mie miserie, vengo a voi con fiducia, ricordando che “Non quelli che stanno bene hanno bisogno del medico, ma i malati”. Vi supplico perciò di guarirmi, di perdonarmi, ed io, Signore, mi ricorderò che l’anima alla quale più avete perdonato, deve amarvi più delle altre. Vi offro tutti i battiti del cuore come altrettanti atti d’amore e di riparazione e li unisco ai vostri meriti infiniti. Vi scongiuro, sposo mio divino, di essere voi stesso il riparatore della mia anima, di agire in me senza tener conto delle mie resistenze; in una parola: non voglio più avere altra volontà che la vostra. E domani, con il soccorso della vostra grazia, ricomincerò una vita nuova. Dopo essere venuta così ogni sera ai piedi del vostro altare, arriverò infine all’ultima sera della mia vita; allora comincerà per me il giorno senza tramonto dell’eternità, in cui mi riposerò sul vostro Cuore divino dalle lotte dell’esilio. Così sia!
(Preghiera composta da S. Teresa di Lisieux, il 16 luglio 1895, per Sr. Marta di Gesù).
Pingback: Don Luciano Labanca - Commento al Vangelo del 14 Giugno 2020 -