PASSIONE DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO SECONDO GIOVANNI (Gv 18,1 – 19,42) (leggi il testo qui)
Commento

La liturgia del Venerdì Santo, che non è una Celebrazione eucaristica, ha delle caratteristiche del tutto peculiari. Essa si compone di un primo momento, caratterizzato dall’ascolto della Parola di Dio e dalla grande Preghiera universale. Segue il secondo momento, quello dell’adorazione della Santa Croce, per concludersi con la santa Comunione distribuita al popolo. Cuore della Liturgia della Parola è la proclamazione della Passione nella versione dell’Evangelista Giovanni. Si tratta di un testo ricco, profondo, si potrebbe dire, inesauribile. Di fronte al ricco racconto, viene in mente un’espressione di Sant’Efrem Siro che così si esprime: “Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? È molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere” (Dai «Commenti sul Diatessaron» di sant’Efrem, diacono, 1, 18-19; SC 121, 52-53). Quando ci avviciniamo alla narrazione della Passione secondo San Giovanni, ci rendiamo perfettamente conto che è cosi. Più che comprendere, siamo invitati a contemplare. Giovanni stesso, a chiusura della scena che descrive la morte del Figlio di Dio, citando un passo del profeta Zaccaria (Zc 12,10b), così si esprime: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (19,37). In questo Venerdì Santo siamo invitati a fare ciò, rivolgere il nostro sguardo a Lui, a Lui che noi stessi abbiamo trafitto a causa dei nostri peccati, delle nostre superficialità ed ingratitudini. In questa nostra epoca, la cultura in cui siamo immersi, il secolarismo, la tecnocrazia e la nuova religione dell’effimero e delle apparenze, tendono a distrarci, a fare in modo che il nostro sguardo si orienti verso altro. Questi surrogati, per quanto attraenti possano sembrare inizialmente, lasciano il cuore vuoto, perché non sono in grado di dare risposte di senso ai drammi dell’uomo. Solo Cristo, il Crocifisso-Risorto, l’Agnello immolato, è la risposta a tutte le domande più profonde dell’uomo, specialmente quelle sul dolore, sulla sofferenza, sull’abbandono e sulla morte. Nel Venerdì Santo non si incontrano le risposte a tutte queste domande, in maniera intellettuale e speculativa, ma è guardando a Cristo sulla croce, che noi vediamo e crediamo che Dio ha preso così seriamente queste sfide, da farsi nostro compagno di strada, in tutto, non offrendoci formule magiche per sfuggire dalla realtà, ma assumendo tutto questo su di sé, per dirci che con noi anche Lui è passato nel tunnel oscuro della sofferenza e della morte, per aprire un percorso nuovo e luminoso in esse. La Chiesa, famiglia di Gesù generata dal suo sangue sulla croce, non cessa di contemplare il suo Sposo, che per amore ha dato la sua vita per lei, e il tesoro della Chiesa è l’annuncio al mondo, che, come dice San Paolo, “[La parola della croce] è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio” (1Cor 1,18). Nulla c’è di peggiore della superficialità e dell’ingratitudine di chi, avendo ricevuto molto bene, non lo riconosce o peggio lo disprezza. La Chiesa, ogni credente, ogni cristiano, è l’immagine di coloro che guardano il Crocifisso e sono chiamati a riconoscerne la potenza. Guardare, infatti, non significa soltanto vedere con gli occhi. Tanti vedevano, ma non contemplavano, non andavano oltre. Nel racconto di Giovanni vediamo come i Giudei abbiano visto, i soldati abbiano visto, ma senza capire. C’è un vedere il Crocifisso senza capire, ma c’è anche un vedere che capisce, come quello di Maria, delle donne e dei discepoli. Facciamo ancora eco alle parole dell’Apostolo Paolo: “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1, 22-24).
